Mercoledì 24 Aprile 2024

La donna che mandò l’uomo sulla Luna

L’astronauta John Glenn si fidava solo di lei: Katherine Johnson, l’afroamericana che fece i calcoli per la prima missione nello spazio

Katherine Johnson alla Nasa

Katherine Johnson alla Nasa

Roma, 5 giugno 2023 – John Gleen, il primo astronauta statunitense che per quasi cinque ore orbitò attorno alla Terra, fu lanciato nello spazio il 20 febbraio del 1962. Era una missione molto importante non solo dal punto di vista scientifico ma soprattutto per le ricadute politiche, perché inserita in quella corsa allo spazio dove all’epoca i russi erano sicuramente molto più avanti avendo già messo in orbita i primi satelliti artificiali e lanciato il primo cosmonauta Juri Gagarin.

Per questo Gleen preparò puntigliosamente la missione verificando di persona ogni dettaglio del volo. La tecnologia aveva fatto passi da gigante e i computer, in questo caso il potente Ibm 7090, si erano guadagnati fiducia e credibilità ma all’insegna del “fidarsi è bene ma non fidarsi (delle macchine) è meglio” Gleen prima di partire si rivolse al team dei tecnici con questa precisa richiesta: "Fate controllare le cifre alla ragazza".

La “ragazza”, allora, si mise subito al lavoro e dopo un giorno e mezzo di calcoli "oltre la precisione del computer" vide che le cifre tornavano e pertanto l’astronauta poteva partire tranquillo. Ricordando quella missione la “ragazza” si è sempre chiesta se mai Gleen avesse saputo il suo nome, ma le bastava sapere che fu lei a garantirgli il ritorno sulla Terra e di questo si accontentò.

La “ragazza”, scomparsa nel 2020 alla bella età di 101 anni, si chiamava Katherine Johnson e la sua straordinaria avventura umana e scientifica è raccontata nella biografia pubblicata recentemente con il titolo Il mio viaggio spaziale (Hoepli editore), un libro che ha contributo ad aumentare la sua popolarità, unitamente al film Il diritto di contare (2016) – diretto da Theodore Melfi, con Taraji Penda Henson nei panni di Katherine – che seppure in maniera un po’ romanzata raccontava la vita di questa scienziata che ha sempre lavorato nell’ombra.

Genio della matematica, a diciott’anni Ketherine Johnson era già diplomata e a dispetto della giovane età e soprattutto della sua appartenenza al gruppo dei “neri”, divenne un riferimento imprescindibile alla Nasa, dove lavorò assieme alle colleghe Dorothy Vaughan e Mary Jackson, chiamate “colored computers”, in una palazzina isolata della Nasa.

Sì, perché oltre a sfidare lo spazio, Katherine condusse anche una battaglia per i diritti civili in una società razzista che le impediva persino di firmare pubblicazioni scientifiche che contenevano suoi importanti contributi. Da piccola Katherine si divertiva a contare le stelle e non avrebbe mai immaginato che i suoi calcoli matematici un giorno avrebbero portato gli uomini proprio lassù, fino a mettere il piede sulla luna.

Eppure, dopo la grande impresa del primo allunaggio umano nessuno ricordò il lavoro di Katherine, che seguì con grande trepidazione tutta l’avventura dell’Apollo 11 con la certezza che i suoi conti erano giusti. Aveva calcolato e previsto tutto, lavorando sedici ore al giorno senza chiedere di essere pagata per gli straordinari.

Katherine Johnson in seguito lavorò per altre cinque missioni Apollo, quindi si occupò dei calcoli per le missioni dello Shuttle e a coronamento della sua carriera nel 2015 il presidente Obama le conferì la prestigiosa “Medaglia della libertà”, il più alto riconoscimento civile degli Stati Uniti.

Obama definì Katherine "una pioniera che ha infranto le barriere dell’etnia e del genere" e il suo merito più grande "è aver mostrato a generazioni di giovani che tutti possono primeggiare nella matematica e nelle altre scienze e arrivare fino alle stelle".

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