La corsa dei Maneskin diventa un “Rush!“

Il nuovo album della band: 17 brani in italiano e inglese per confermarsi al top. "Restiamo noi stessi col nostro suono scarno e crudo"

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di Andrea Spinelli

Uno, due, tre… stella! Sull’Hollywood Boulevard. L’adolescente che gioca con la fama sulla copertina del nuovo album del Måneskin, in uscita ai quattro angoli del pianeta venerdì, sembra incarnare la voglia bambina di continuare a giocare e a vivere nel sogno che, complici Sanremo e l’Eurovision, ha trasformato la band romana in un fenomeno planetario da 6 miliardi e mezzo di streaming. Di confermarsi, insomma, all’altezza del punto esclamativo di Rush!, come suggerito nei giorni scorsi dalla rivista americana Rolling Stone recensendo in anteprima questo disco del grande ritorno, preannunciato in radio da una serie di singoli lunga così. Brani come Mammamia, Supermodel, The loneliest o quella Gossip impreziosita dalla chitarra di Tom Morello dei Rage Against The Machine.

"Abbiamo raggiunto questo primo obiettivo grazie alla maturazione che ci ha concesso suonare in Italia e all’estero, sperimentare moltissimo, studiare ciascuno per proprio come ottenere la crudezza di suoni che avevamo in mente" ha spiegato la bassista Victoria De Angelis a proposito della “fretta” evocata nel titolo, col pensiero a questi mesi vissuti precipitosamente che il 5 febbraio potrebbero portargli in dote pure il Grammy riservato al “miglior nuovo artista” proprio alla vigilia del possibile ritorno a Sanremo. "Abbiamo scritto brani in italiano e in inglese e siamo soddisfatti, dando una varietà alle canzoni e mantenendo un suono scarno e crudo. Siamo una rock-band, ragazzi poco più che ventenni che suonano questo tipo di musica con strumenti analogici, con i loro riferimenti, le loro influenze, ma facendo la propria musica".

Uniti per sempre, come suggerisce pure l’evento di domani a Roma che li vedrà unirsi in matrimonio tutti e quattro (per amor di sponsor) davanti ad un officiante d’eccezione quale l’ex direttore creativo di Gucci Alessandro Michele.

Una nuova frontiera della promozione abbattuta con la forza di 17 canzoni in bilico tra punk (On my mind) e glam (Bla bla bla), in cui Damiano provoca: “Hai detto che sono brutto e la mia band fa schifo, ma una mia canzone ha appena superato il miliardo di stream, perciò baciami il cu-cu-cu-cu-cu-cu-culo").

Solo una vera power ballad, If not for you, che arriva dopo nove brani senza respiro, anche se il più significativo è forse uno dei tre in italiano che, prendendo nome dall’assassino di John Lennon, racconta dei fan stalker che abitano il mondo dei social media. “Si muove a piede libero Vestito come un incubo Vuole tu sia in pericolo Però ti chiama idolo” canta, infatti, il frontman in Mark Chapman. “E puoi trovarlo sotto casa Con un coltello in mano Perché non hai risposto a un suo messaggio Però lui giura che ti ha amato Che non vorrebbe farlo Però il suo amore non l’hai ricambiato”. Controindicazioni della fama.

I Måneskin sono una rockband che vive di stereotipi, dalla distruzione degli strumenti in scena alle disinvolte nudità esibite nei canoni di un’iconografia vecchia di cinquant’anni, e pure musicalmente si rifanno a suoni, idee, provocazioni della “golden age”.

Buoni quindi per una generazione giovane e senza troppa memoria come quella a cui appartengono, un po’ meno per scrivere qualcosa di realmente nuovo negli annali del rock alzando l’assicella rispetto a quanto fatto finora. Che orgoglio, comunque, ascoltare il Roxy Theatre di Los Angeles o la Bowery Ballroom di New York cantare in italiano Coraline e Zitti e buoni sotto al palco. Non accadeva dai tempi di Modugno e questo è, probabilmente, il primo dei loro meriti.

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