L’Europa è vicina all’abisso. Firmato Simenon

II reportage dello scrittore nel 1933: l’ascesa del nazismo, la fame, lo sfarzo delle capitali. E la scoperta dell’Unione Sovietica in miseria e soffocante

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"Ma allora non capisce proprio niente? Imbecille!". No, Georges Simenon non era un giornalista come gli altri. Scriveva reportage, ma restando uno scrittore: ogni pezzo era come un racconto e il piacere di un dialogo serrato e colorito superava ogni pudore o preoccupazione.

La "cicciona bionda" che gli dà dell’imbecille in un ristorante di Istanbul è un’esule russa. Lo scrittore è in procinto di partire per il paese dei soviet e si offre di visitare i genitori della signora rimasti nella città di Odessa, ma lei non vuole. Cerca di far capire all’inviato parigino quel che lo aspetta: povertà, poco cibo, controlli asfissianti, un inferno. Ma Simenon non la segue, troppo eccitato dall’idea di “scoprire” in prima persona la nuova Russia a tre lustri dalla rivoluzione d’ottobre. Perciò si prende dell’imbecille.

È il 1933, anno cruciale per un’Europa devastata dalla crisi seguita al crac finanziario del ’29. Simenon ha solo trent’anni ma è già il padre del commissario Maigret. È l’anno dell’ascesa al potere del nazismo. Un anno che Simenon passa per buona parte in viaggio in un’Europa incerta e impoverita: visita la Polonia e la Romania, la Germania e l’Ungheria, fino al Mar Nero passando per la Turchia del nuovo principe Ataturk. Simenon scrive con la nota leggerezza e l’altrettanto sperimentato acume: i reportage, pubblicati sulla rivista francese Voilà, sono corredati da fotografie scattate dallo stesso scrittore (pubblica tutto Adelphi in un volume intitolato 1933). È un viaggio impressionistico e confidenziale. Simenon scopre l’estrema povertà di masse sterminate. "La Fame – scrive – non è sempre smunta e scarna come la raffigurano. È gonfia. Ha un aspetto sgradevole e malsano, occhi inquisitori e l’amaro in bocca". Ma Simenon è pur sempre uno scrittore che ama il bel mondo e visita anche – con una certa voluttà – i grandi hotel e i migliori ristoranti, frequentati dall’alta società in tutte le capitali che attraversa. Fame e miseria da un lato, sfarzo in apparenza immutabile dall’altro: è un binomio ricorrente, ma è tutto avvolto da un clima di incertezza. L’Europa è in bilico.

Simenon attraversa la Germania nei giorni dell’iperinflazione, coi prezzi dei negozi che cambiano di ora in ora. Vede sfilare i militi nazisti. Non si fa illusioni e mostra, lui nato in Belgio e memore dell’invasione tedesca del ’14 (aveva undici anni), di avere senso della storia. "Hitler – scrive, parlando dei tedeschi – li ha rimessi in riga. Li tirerà a lucido, li aiuterà ad alzare la testa, li rimetterà a nuovo da cima a fondo, finché non torneranno a essere quelli che ho visto irrompere nelle strade, sicuri di sé, fiduciosi del loro destino e dei loro caporali, nel 1914".

A Istanbul visita il grande esule Leon Trockij e riceve una piccola quanto preveggente lezione di politica. L’ex capo dell’Armata rossa preconizza uno spostamento degli equilibri internazionali dall’Europa agli Stati Uniti e afferma sicuro: "In una prospettiva non di mesi da di anni – non certo però di decenni – ritengo assolutamente inevitabile lo scoppio di una guerra scatenata dalla Germania fascista".

Il viaggio sul Mar Nero è la parte più giornalistica dei reportage. Simenon capisce ciò che intendeva la "cicciona bionda" incontrata al ristorante. Odessa è una città spettrale, coi negozi chiusi e appena qualche spaccio cooperativo aperto. Lo scrittore e la moglie si trovano intrappolati dal “servizio di accoglienza” organizzato dalla Ghepeù (il servizio segreto sovietico). Sonja, la ragazza incaricata di accompagnarli passo per passo, vorrebbe organizzare visite a fabbriche e scuole modello ma Simenon vuole invece indagare: perché quelle donne ben vestite espongono per strada e vendono soprammobili, lenzuola e coperte? Quanto guadagna un operaio e quanto costa il pane? Conversa di nascosto coi camerieri, si informa sulla vita reale della gente. Si fa un’idea. Gli articoli escono nel ’34, due anni prima del viaggio in Urss di André Gide e del suo famoso libro-denuncia sul fallimento del socialismo sovietico: a quel punto Simenon, nelle sue rocambolesche cronache da Odessa, aveva già messo a fuoco la cruda realtà del sistema: la miseria, la fame, la burocrazia soffocante.

Nella prostrata Europa dei primi anni Trenta, nota infine Simenon, si pensa di conoscere la via d’uscita: tutti gli dicono – da Varsavia a Istanbul –: torneremo grandi quando saremo autosufficienti, quando faremo tutto da soli, quando la nazione rinascerà. Era un’Europa sull’orlo del precipizio e si preparava a cadervi dentro.

 

 

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