Giovedì 18 Aprile 2024

L’eros messo a nudo, il secolo di Newton

Il celebre fotografo domani compirebbe cent’anni. Detestato dalle femministe, adorato dalle modelle. Diceva: "Amo la cattiva reputazione"

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"Non m’interessa il buon gusto, mi piace essere l’enfant terrible : bisogna essere sempre all’altezza della propria cattiva reputazione". Quella di Helmut Newton era pessima. Le femministe negli anni ‘70 volevano metterlo al rogo. Lo additarono pubblicamente: è un pornografo, tratta il corpo della donna come una cosa, è al servizio degli interessi della moda multimilionaria.

Punti di vista. Certo è stato un grandissimo fotografo, anche se divisivo come nessuno. Eccessivo, provocatorio e indimenticabile. Domani avrebbe compiuto cento anni, ne aveva 84 quando si schiantò con il suo Suv Cadillac sul muro dello Chateau Marmont, l’hotel del Sunset Boulevard a lungo sua dimora quando abitava nel West Hollywood. Uno strano incidente e una morte da star alla James Dean. "È stato un suicidio colposo", commentò Oliviero Toscani che gli aveva fatto da assistente per un servizio a Milano nel maggio ‘68. In ogni caso l’apoteosi tragica di una vita piena di colpi di scena.

Newton si chiamava in realtà Neustadter, figlio di una famiglia ebrea della buona borghesia berlinese. I genitori possedevano una fabbrica di bottoni, lui inseguiva altri orizzonti. A 12 anni comprò la prima macchina fotografica, a 16 entrò nella bottega di Elsie Neulander Simon. Apprendistato destinato a finire presto. La Germania emanò le feroci leggi razziali e il diciottenne Helmut s’imbarcò a Trieste sul piroscafo Conte Rosso, destinazione Singapore. Lì venne però arrestato dalle autorità britanniche e poi espulso in Australia, dove rimase in un campo di internamento dal ‘40 al ‘42. Finché riuscì a entrare nell’esercito. E a cambiare nome nel 1945. Fine della prima parte.

La seconda comincia dopo la guerra: le nozze con l’attrice June Browne, la carriera di fotografo free lance fra la moda e le immagini patinate per Playboy, lo sbarco a Parigi nel’61. L’Europa è per lui un ritorno a casa. Le riviste più importanti gli spalancano le porte: Vogue, Harper’s Bazaar, Vanity Fair, Elle e Marie Claire si contendono i suoi scatti. Scandalosi e originalissimi.

La fama dilaga. Non c’è firma della moda che possa privarsi del suo tocco geniale: da Chanel a Versace, da Ysl a Vuitton, da Lagerfeld a Dolce & Gabbana. Newton è il fotografo delle donne per eccellenza. Già, ma come sono le sue donne? Perché è accusato di essere un misogino maschilista? Vuole modelle sfrontatamente nude. Ambientate nelle periferie urbane o in un garage. Oppure all’ultimo piano di un grattacielo, grandi vetrate come pareti. Le ritrae in bianco e nero tra perversione, feticismo e masochismo. Corpi lividi e spavaldi. Rossetto marcato e sigaretta pendente dalle labbra. Stiletto, manette, lacci, pistole. Una donna bellissima posa in ginocchio sopra il letto: ha una sella sulla schiena, animale appena domato.

Loro lo adorano. Simonetta Gianfelici, la sua musa in un indimenticabile set dell’81, lo racconta come "un giocoliere che convinceva tutte e tutti a fare quel che lui voleva". E ancora: "Amava il corpo femminile che non coincideva con la magrezza imposta dalla moda. Amava le mie gambe lunghe e il modo in cui usavo le mani. E soprattutto la mia inclinazione a dominare gli uomini. Helmut ha consegnato alle donne un potere assoluto sull’uomo".

Il suo universo è quasi del tutto privo di presenze maschili. Con qualche splendida eccezione. Come il ritratto di Gianni Agnelli: una ragnatela di rughe sulla faccia ripresa di profilo. Rughe che sanno di fierezza, denaro, eleganza, vizi e motori. "Nelle mie foto non c’è emozione. È tutto molto freddo, volutamente", spiegava lui. E poi: "Penso a lungo quel che voglio realizzare, ho libri e piccoli quaderni in cui scrivo tutto prima di una seduta". È lo stile di un maestro cerebrale, metodico, apparentemente privo di passioni. Il contrario delle sue donne emozionanti. La realtà è che Newton si è portato sempre dentro un’immagine fatale. Come Fellini che ha fatto sempre lo stesso film: il Maciste all’inferno visto al cinema Fulgor da bambino, "con un donnone a pancia nuda, l’ombelico, gli occhiacci bistrati lampeggianti". Così il piccolo Helmut. Aveva otto anni quando il fratello lo portò nel quartiere delle prostitute a Berlino, dove lavorava la famosa Red Erna: stivali alti fino al ginocchio e frusta. La visione di tutta una vita, replicata all’infinito nelle sue foto.

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