L’eroico Beethoven, così pieno di paure

L’uomo dietro il genio, negli studi di Simonelli: "Non era un burbero. Tormentato dalle insicurezze, cercava disperatamente amici"

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Sedici dicembre, duecentocinquant’anni fa: nasce il Genio, e la musica si libera in pura potenza. L’estasi creativa domina la scena. Poi cala il sipario e resta l’uomo. Beethoven, chi era davvero costui? Ce lo racconta, con un’accurata ricerca storica, il giornalista Saverio Simonelli nel suo romanzo d’esordio Cercando Beethoven (Fazi).

Simonelli, lei tiene defilato l’artista per restituirci invece l’uomo che, come scrive, era tutto immediatezza. Dove nasce l’interesse per il Genio quando scende dal piedistallo? Il Maestro stesso invitava a giudicare le opere e a non porre attenzione sulla sua quotidianità...

"Mi hanno incuriosito le sue contraddizioni. Beethoven provava il bisogno di comunicare agli altri l’iniziazione divina di cui si sentiva portatore, ma degli altri aveva anche paura. Per esempio, temeva che durante le improvvisazioni qualcuno potesse rubargli ciò che creava. Era un insicuro, sempre sul bordo della vita".

Schivo, cupo, nervoso, incurante delle regole sociali. Dalle sue pagine emerge l’immagine di un vip dal caratteraccio. Era così?

"Aveva un caratteraccio che, però, nascondeva mille dolcezze e un disperato bisogno di amici, quegli amici cui rivolge l’invito a intonare l’ode alla gioia nella Nona Sinfonia. “Questo bacio è per tutto il mondo”, il suo è un testamento di amore. Ma questo slancio viene frenato dalla menomazione dell’udito, uno stigma che lo mette a disagio in mezzo agli altri, tanto che preferisce appartarsi".

Non c’è eco di divismo?

"Non si è mai considerato un divo. Anzi, si stupiva se le persone lo salutavano per strada".

Nello studio del compositore, tra partiture e capolavori in nuce, si scorge anche il vaso da notte. La prosaicità del quotidiano può fare cadere gli dei?

"No, al contrario, ce li fa sentire più umani. Paradossalmente, brilla ancora di più la straordinarietà di un uomo che è come noi. Per questo faccio dire a Wilhelm, il personaggio che entra in quello studio: “Non è più eroica l’Eroica se chi l’ha scritta lascia in vista il vaso da notte?”".

Imprenditore di se stesso, Beethoven accetta del denaro per restare a Vienna a dare lustro alla città e pone come condizione un avanzamento di carriera per diventare direttore d’orchestra imperiale e fare le scarpe a Salieri. Pare non farsi scrupoli.

"Pensare che volesse fare le scarpe a Salieri è malizioso. Certo, non trascura il guadagno. Del resto, è il primo musicista che vive della sua arte e non al servizio di corti o principati".

Nel celebre ritratto di Stieler, il compositore appare assorto in una concentrazione nervosa, tirata, spigolosa. Eppure, come tutti i burberi, è anche un buono. È per questa generosità che lei descrive la musica di Beethoven come una creatura che non diceva solo Io ma che aveva bisogno di un Tu?

"Sì, la sua musica è un mondo di personaggi che si muovono fino a trovare l’armonia, la sintesi aristotelica. L’Io passa al Tu per diventare, alla fine, Noi".

Anche la violenza di certi movimenti sui tasti del pianoforte appartiene a questo essere straripante?

"Sì, non voleva mediazioni. Magari, oggi Beethoven sarebbe un rapper per virulenza e forza espressiva. Ma forse esagero, diciamo che avrebbe simpatia per l’immediatezza dei rapper...".

Come dice Wihlelm la musica di Beethoven ti entra dentro "invisibile. Come l’anima". Una potenza così evocativa che non risente della sordità.

"La sordità è stata un po’ amplificata. Fino a 30-40 anni sentiva abbastanza. Certo, pare si mettesse molto vicino alla tastiera per ascoltarsi, però aveva una grande capacità di udire da dentro attraverso la memoria delle note".

Perché la scelta di un protagonista così ingombrante per la sua prima prova d’autore?

"Beethoven è nel mio podio, ex aequo con Mozart e Brahams. E questo anniversario è importante. Ma soprattutto volevo rendere un omaggio alla sensibilità di quanti credevano, agli albori del Romanticismo, che esistesse il puro genio".

 

 

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