Venerdì 19 Aprile 2024

L’Eco del Dams: formidabili quei creativi

Mezzo secolo del Dipartimento arti-musica-spettacolo. Ferretti: "Eravamo affamati di vita". Scabia: "La nostra ribellione era la fantasia"

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di Claudio Cumani

Formidabili quegli anni. Gli anni in cui ogni giovedì, nell’aula grande stracolma all’inverosimile di ragazzi, Umberto Eco si lanciava in un pirotecnico assolo che mischiava la semiotica alla letteratura, il cinema al fumetto. Gli anni in cui Giuliano Scabia costruiva piccole mongolfiere da lanciare sul cielo di Bologna come atto d’amore per ricucire il rapporto fra la città e gli studenti. Gli anni nei quali se chiedevi un’intervista sui suoi film a Nanni Loy, docente di cinema, lui ti rispondeva che l’intervista la concedeva solo se era collettiva e se potevano intervenire anche i suoi studenti.

"Era l’inizio del ‘70, arrivai a Bologna affamato di vita e precipitai in un vortice", racconta l’ex leader dei CCCP Giovanni Lindo Ferretti, uno dei tanti allievi illustri. Il Dams di Bologna, il primo a nascere in Italia, compie 50 anni (un giorno preciso non c’è) e l’università del capoluogo emiliano dedica all’anniversario un calendario di eventi che vuole documentare questo mezzo secolo di creatività e talento, di rigore e ricerca. Difficile rinunciare alla corda nostalgica.

"Ho deciso di iscrivermi scendendo al volo da un treno di passaggio a Bologna – racconta Paolo Fresu, matricola dei primi anni ‘80 – Ho chiesto dov’era l’università e, dopo due ore, sono ripartito con il libretto in mano". E Patrizio Roversi, matricola 409, anno di iscrizione 1972: "Per me le due colonne portanti erano Umberto Eco e il bidello Paolo, uno che in quell’enorme caos sapeva sempre tutto".

Fu un grecista, Benedetto Marzullo, ad avere l’intuizione di un corso di laurea che formasse nuove professionalità in arte, musica e spettacolo rispetto a quelle tradizionalmente proposte dai corsi umanistici. Era la primavera del 1971, a Sanremo avevano vinto Nada e Nicola di Bari, a Venezia il festival del cinema era bloccato da un paio d’anni dalle contestazioni, la cappa degli anni di piombo era vicina. "Fu così – ricorda il professore Giacomo Manzoli, direttore del Dipartimento delle Arti dell’ateneo – che fra molte resistenze, fraintendimenti e pregiudizi nacque il Dams".

La carta vincente furono i docenti, molti del Gruppo 63, gente che arrivava non da un ambito accademico ma dalla pratica sul campo. Luigi Squarzina insegnava regia, Gianni Polidori scenografia, Renato Barilli arte contemporanea. "Scelsi il Dams – ricorda Fresu, che alla fine ha dato un solo esame – soprattutto perché ci insegnava una autorità di musica etnica come Roberto Leydi". Un docente che adorava anche Lindo Ferretti: "Era il mio professore. Non avevo alcun interesse per la musica ma subivo il fascino dell’etnologia e quell’incontro ha segnato la mia vita adulta".

I ragazzi (il primo anno furono 115, a fine decennio 3500) amavano Gianni Celati con quel suo storico seminario-happening sull’Alice di Lewis Carroll, una Alice ‘disambientata’ che ben presto diventò icona pop; Piero Camporesi che raccontava la parabola del potere partendo dalla maschera inquietante di Bertoldo; Giuliano Scabia con le sue azioni teatrali di strada che potevano ribaltare i Persiani di Eschilo come le leggende popolari della montagna reggiana. "Quando mi chiesero di venire a insegnare al Dams – ricorda lui – ero travestito da cavaliere e mi trovavo sul monte Velino nell’Aquilano. Stavo lavorando con dei bambini che dovevano simboleggiare il drago. Arrivò un messo comunale a dire che mi cercavano".

A docenti famosi, allievi altrettanto celebri: da Piero Chiambretti a Daria Bignardi, da Alan Sorrenti a Chiara Alessi. Alcuni non ci sono più come il regista Carlo Mazzacurati, il padre del demenziale Freak Antoni, il fumettista Andrea Pazienza, lo scrittore Pier Vittorio Tondelli.

Tante le lauree ad honorem assegnate: una, nel 2015, a Toni Servillo. Gli esami di gruppo, gli eterni dibattiti, le performance... Arriva il ’77 con le sue vetrine rotte e le sue violenze. "Ma il Dams non è stato il detonatore di quello che è successo – precisa Roversi – Ha mediato il conflitto, ha offerto al movimento studentesco il linguaggio della creatività".

"È stato, anzi, il momento in cui la fantasia ha placato il sangue e la morte", ribatte Scabia. Da allora è passato quasi mezzo secolo e tutto è cambiato. I docenti non arrivano ovviamente più per chiamata spontanea e le attività pratiche di un tempo hanno assunto nuove forme. Restano vecchie foto in bianco e nero del tempo andato. In una si vede un enorme manifesto con scritto: “Decreto lo stato di felicità permanente“. Formidabili quegli anni.

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