L’alluvione che spinse la capitale a Roma

Nel dicembre 1870 la piena del Tevere accelerò il trasferimento da Firenze. E Garibaldi firmò una legge per nuove opere idrauliche

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di Antonio

Patuelli

Centocinquant’anni fa, il 28 dicembre 1870, il Tevere, violentemente, realizzò la più grave alluvione di Roma dal 1637. Due mesi prima, il 20 settembre 1870, Roma era stata conquistata dall’esercito del nuovo Stato nazionale italiano: cosi era terminato, dopo numerosi secoli, lo Stato Pontificio (il suo vero nome era “Stato Romano”) che storicamente aveva compreso, oltre Roma e il Lazio, l’Umbria, le Marche e le Romagne, come allora erano definite le province di Bologna, Ferrara, Ravenna e Forli.

Il Tevere non era nuovo ad allagare Roma: prima di quella del 1870 erano state catalogate più di cento alluvioni della città eterna in oltre diciotto secoli. Ma quella del dicembre 1870 fu fra le più violente e stimolò in alcuni anche la superstizione di chi la metteva in relazione con l’unione di Roma all’Italia.

Allora la capitale d’Italia era Firenze, dove era stata spostata, da Torino, dopo la “Convenzione” italo-francese del settembre 1864. L’alluvione di Roma del dicembre 1870 produsse una forte emozione nelle istituzioni nazionali, insediate negli storici palazzi del centro di Firenze.

Il governo italiano dell’epoca stava cercando, proprio in quelle settimane, i palazzi che avrebbero potuto ospitare le istituzioni nazionali in quella che stava per diventare la nuova capitale, Roma, tanto sognata dai patrioti risorgimentali. Ma lo spostamento della capitale da Firenze a Roma era previsto solo per l’anno successivo, il 1871.

Di fronte alla grave emergenza dell’alluvione del Tevere, il governo, da Firenze, decise di inviare subito il re Vittorio Emanuele II a Roma in visita di solidarietà, dove arrivò il 31 dicembre 1870, installandosi nel Palazzo del Quirinale, storica Sede papale, dove, nella Cappella Paolina, fino al 1846, si erano tenuti anche molti Conclavi, come quello che, a sorpresa, elesse il vescovo di Imola, il marchigiano cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti, che divenne Papa Pio IX. Insomma, l’alluvione del Tevere di centocinquant’anni fa accelerò le procedure per trasferire a Roma la capitale d’Italia.

Il problema delle frequenti alluvioni di Roma, dovute al Tevere, impegnò poi direttamente anche i principali patrioti risorgimentali, a cominciare da Giuseppe Garibaldi: il Generale, che in origine era ufficiale della Marina mercantile del regno sardo-piemontese, presentò nel 1875, alla Camera dei Deputati, di cui faceva parte, un progetto di legge per realizzare “opere idrauliche per preservare la città di Roma dalle inondazioni del Tevere”.

L’iniziativa di Garibaldi stimolò parlamento e governo (allora guidato dal bolognese Marco Minghetti). In pochi anni, nonostante le accese discussioni sulle varie ipotesi tecniche ed idrauliche, con più provvedimenti normativi, il percorso del Tevere nella capitale venne risanato, anche con la realizzazione dei poderosi ed alti “muraglioni” tuttora ben visibili ed utili.

Il merito di quelle opere di difesa dalle alluvioni del Tevere, oltre che di Garibaldi, fu di Alfredo Baccarini, romagnolo di Russi (Ravenna), insigne ingegnere, che fu prima segretario generale del ministero dei Lavori pubblici, per poi esserne ministro nei tre governi di Benedetto Cairoli e in uno di quelli di Depretis. Baccarini fu anche l’artefice di grandi bonifiche, come quelle maremmane, dopo secoli di malaria, e della costruzione di gran parte delle linee ferroviarie dell’Italia unita, spronato sia da impulsi di modernizzazione, sia dal preciso disegno sociale di far fronte alla disoccupazione con imponenti e indispensabili lavori pubblici.

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