Giovedì 25 Aprile 2024

Kusturica & Handke, ribelli in bilico sulla Storia

Il regista racconta in un libro l’amicizia che lo lega allo scrittore. Accomunati dall’arte ma anche dalle controverse posizioni filoserbe

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di Matteo Massi

Il cinema di Sarajevo si chiamava Primo Maggio. Lì, un giorno, il giovane Emir Kusturica andò a vedere Spartacus di Kubrick. Il ragazzino che sarebbe diventato regista, di fronte alle proteste di chi gli stava alle spalle che non riusciva a vedere il grande schermo, disse: "Se chiudi gli occhi, vedrai meglio". Quella era ancora la Jugoslavia. Ma quella frase, anche dietro la macchina da presa, Kusturica l’ha fatta sua. Tempo fa, parlando della sua amicizia con lo scrittore Premio Nobel, Peter Handke, tornò a ripetere lo stesso concetto: "Chiudendo gli occhi Handke vedeva la Jugoslavia come una terra affacciata sul mare Adriatico, molto più grande di quella che era".

Scrittori e non solo loro, negli ultimi trent’anni dopo le fratricide e sanguinarie guerre dei Balcani, hanno definito questo sentimento Jugonostalgia: la nostalgia per un Paese che non c’è più, in cui per anni hanno convissuto etnie e religioni diverse, rappresentando davvero il crocevia tra Occidente e Oriente. Underground, con cui Kusturica vinse la Palma d’oro a Cannes (1995), è mosso da quello stesso sentimento. Ma il regista fu accusato, a guerra in corso, di aver fatto un’opera troppo filoserba e di essere stato finanziato da Belgrado. "Con Underground ho cercato di chiarire la storia della Jugoslavia fuori da ogni propaganda e dal bolscevismo per darne un’immagine epica – rispose Kusturica all’epoca, soprattutto alle critiche più energiche di Le Monde –, lontana dalla paranoia dei poliziotti di tipo orwelliano. Purtroppo ho avuto l’effetto contrario, hanno accusato me di propaganda".

A difenderlo fu Handke e da lì nacque l’amicizia: lui austriaco, ma di mamma slovena. "Handke immaginava la Jugoslavia dall’Austria, al di là delle montagne". Ebbe a dire più volte Kusturica che a Sarajevo era nato jugoslavo, da una famiglia bosgnacca (bosniaci di religione musulmana), ma che aveva scelto poi di diventare serbo. Quella ormai non era più Jugoslavia. Il secolo breve stava per chiudersi da dove era iniziato e nella maniera peggiore. Non c’era ragione o torto, come forse non ci sono ancora, visto che nei Balcani i fuochi nazionalisti si sono soltanto sopiti. Ma covano sotto la cenere. C’erano però le stragi. Come quella di Srebrenica, impossibile da negare e da giustificare. Handke invece non ha mai fatto mistero di essere più che indulgente con la Serbia di Slobodan Milosevic. Una posizione d’ufficio o forse solo di posa, ma certo scomoda. "Peter non è un nazionalista", l’ha difeso (a sua volta) Kusturica. E la domanda, la solita, di fronte a un uomo di cinema, arti o lettere che assume posizioni scomode: va giudicato come uomo di cinema, arti o lettere o per le sue posizioni politiche?

Questa domanda, nel caso di Handke, esplode nel 2019 quando l’Accademia di Stoccolma gli assegna il premio Nobel per la letteratura. Con lui a Stoccolma c’è Kusturica che ha anche firmato un appello in sua difesa. Il regista, ripartendo proprio da lì, nel suo libro L’angelo ribelle (La Nave di Teseo) ricostruisce quest’amicizia che si snoda tra l’appendice del Novecento e l’inizio del nuovo Millennio, coi Balcani come fulcro. Lo fa come se stesse realizzando uno dei suoi film. Solo che questa volta usa le parole. Sono parole che si alimentano e si sostanziano di immagini, d’immaginazione e di un impasto onirico che è lo stesso del suo cinema. Ma anche di ombre letterarie, direttamente dal secolo breve, che si materializzano. Come quella del premio Nobel 1961 Ivo Andric, nato nella Bosnia occupata dagli austriaci e morto nella Belgrado capitale della Jugoslavia di Tito. Nel 1945 Andric aveva scritto Il ponte sulla Drina che tuttora resta l’opera più efficace per capire cos’era la Jugoslavia e cosa sarebbe diventata, in anticipo sulle guerra di fine Novecento e sul relativo smembramento.

"Il fiume Drina – scrive Kusturica nel suo di libro – nasconde il mistero di una delle frontiere più letali d’Europa". Occidente e Oriente si toccano e si dividono. Così il regista chiude gli occhi (proprio come consigliò quel giorno al cinema) e immagina Handke camminare su una fune d’acciaio sopra il fiume. Bilico ed equilibrio. Sulla storia di un Novecento che si è chiuso. Solo per gli annali. Ma che nel nuovo Millennio ha trasportato tutte le sue ferite.

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