
Joan Baez, 84 anni, ieri a Milano, ospite della Milanesiana. A destra: Baez con Dylan
Milano, 27 maggio 2025 – In scena a Milano per calare pensieri e parole tra i ricordi virati nostalgia del volume autobiografico ‘Quando vedi mia madre chiedile di ballare’ sul palco della Milanesiana diretta da Elisabetta Sgarbi a tu per tu con lo scrittore Sandro Veronesi, Joan Baez scivola con eleganza sui suoi 84 anni di passioni raccontando la sorella Mimi Farina, ma anche di Leonard Cohen, Jimi Hendrix, Leonard Cohen e, naturalmente, Bob Dylan.
“Le prime bozze delle poesie di questo libro sono state scritte fra il 1991 e il 1997” ammette nella nota introduttiva del volume edito da ‘La nave di Teseo’. “Nel 1990 avevo cominciato ad andare in analisi e mi avevano diagnosticato un disturbo dissociativo dell’identità. È il termine tecnico per lo sviluppo di personalità multiple che nasce dalla necessità di affrontare traumi a lungo termine. Parte delle poesie di questa raccolta sono fortemente influenzate, o in realtà scritte, da alcuni degli autori interiori”.
A quali danni si riferisce?
“Da bambina è stato il disegno a darmi una identità. Poi un trauma infantile dovuto ad abusi fisici e sessuali ha scatenato fobie, ansie, depressioni. Per fortuna ho trovato bravi terapeuti che mi hanno insegnato a gestire bene le disfunzioni nel mondo, ma i problemi profondi sono rimasti lì facendomi capire che devo entrarci e conviverci senza inutili opere di rimozione”.
Scrivere poesie è stato terapeutico?
“Mi ha aiutata a ritrovare me stessa, ad agevolare la soluzione dei disturbi della personalità”.
Che sentimenti prova la Joan che scendeva in piazza contro la guerra del Vietnam davanti a quel che succede in Ucraina o nella striscia di Gaza?
“Ho il cuore a pezzi davanti ai massacri, al dolore, alle privazioni. Credo che Zelenski sia un eroe dei nostri tempi. In giro tutti parlano di pace, ma il termine è abusato, preferirei si usasse “non violenza“ perché lo sento più vicino alle mie corde”.
Il sentimento d’allora s’è perso?
“Penso che l’unica volta in cui i giovani hanno provato qualcosa di simile a quel che sentivamo noi negli anni ’60 sia stato quando Obama s’è candidato alla presidenza, quando ha iniziato la sua strada verso la Casa Bianca. La sensazione di poter fare assieme qualcosa di grande”.
Intimorita dalla seconda presidenza Trump?
“Abbastanza, è accaduto qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto immaginare. Ora siamo tutti sotto attacco, a cominciare da istituzioni come università e tribunali. Molta gente ha paura e gli artisti non fanno eccezione. Ricordo quello che mi disse Furio Colombo l’ultima volta che ci siamo sentiti: “sono nato sotto il fascismo, morirò sotto il fascismo“”.
Ha detto basta con le tournée. Ripensamenti?
“A essere sincera aerei, bus, alberghi diversi ogni sera non mi mancano affatto. Non credo di potermi caricare sulle spalle un concerto intero, ma cantare o due-tre pezzi sul palco di benefit o campagne sociale sì, sono disposta ancora a farlo”.
Come ricorda C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones?
“Come un’esplosione. Furio mi disse (imita la voce, ndr): conosco questa canzone, C’era un ragazzo…, mi dette le parole, la melodia e… boom. Da quel momento in Italia mi è stato impossibile non cantarla. Pure l’incontro con Morricone, un gentleman, di Here’s to you per la colonna sonora del film di Montaldo Sacco e Vanzetti è un ricordo che mi tengo stretto”.
Oltre che nel documentario su di lei Joan Baez: I am a noise, uscito due anni fa, figura pure nel biopic su Dylan A Complete Unknown, interpretata da Monica Barbaro. Le sono piaciuti?
“Alcuni miei amici hanno criticato il film di James Mangold ritenendolo impreciso o sommario. Ma una fiction è una fiction. E io l’ho apprezzato. La Barbaro è molto brava e Timothée Chalamet, che interpreta Bob, pure. Ho trovato molto ben a fuoco pure il personaggio di Pete Seeger-Edward Norton”.