di Andrea Spinelli Per i fan italiani cresciuti nel mito del romanzo generazionale scritto da Enrico Brizzi nel 1996 è “Jack“. In realtà, si sa, si chiama John Anthony. L’importante è che di cognome fa Frusciante, ma soprattutto che è tornato nel gruppo. E si sente. Fin dai primi accordi del singolo Black summer, infatti, il nuovo album dei Red Hot Chili Peppers Unlimited love segna il ritorno del suono e dell’epopea che hanno spinto lui, Anthony Kiedis, Flea e Chad Smith fuori dalle caligini e dalle tragedie in cui sono finiti risucchiati altri grandi protagonisti del rock americano anni Novanta come Nirvana, con la morte di Kurt Cobain, gli Alice in Chains, che hanno perso Layne Staley e Mike Starr, o ancora i Soundgarden che dopo essersi sciolti hanno visto morire anche il loro leader Chris Cornell (scomparso nel 2017) e la lista nera si allunga a Mark Lanegan, leader degli Screaming Trees (sciolti anche loro) morto un mese fa. Una scena musicale quella degli anni ’90, dominata dal grunge e appunto dai Red Hot Chili Peppers, che negli ultimi anni non ha fatto altro che contare le vittime. I Red Hot (non propriamente degli stinchi di santo), sono i superstiti di quell’onda che influenzò e cambiò le regole (e le classifiche) del rock sei lustri fa. Tanto da entrare direttamente nel mito. Tornando a Frusciante: lui aveva abbandonato la nave dopo Blood Sugar Sex Magik (’91), all’apice del successo, e ci era, clamorosamente, risalito con Californication (’99). Era sceso di nuovo dopo Stadium arcadium (2006) e si ripresenta ora, nel 12° album della band a 6 anni dall’ultimo The Getaway, prepensionando dopo un decennio il pur volenteroso Josh Klinghoffer, musicista di valore anche se sprovvisto del titolo di “Guitar God” – dio della chitarra – riconosciuto dalla rivista Rolling ...
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