Isabelle Huppert: "Vorrei essere un uomo. Solo per un film"

L’orgoglio di una diva: "L’importante per le attrici non è ottenere ruoli di donne forti e vincenti, ma essere centrali come me"

Isabelle Huppert

Isabelle Huppert

Un’icona del cinema francese e internazionale, con una lunga e strepitosa carriera costellata di premi e di incontri con grandi registi. Alla già ricca galleria di ritratti femminili a cui ha dato vita, Isabelle Huppert ne aggiunge ora altri due, con Mon crime – La colpevole sono io divertente commedia firmata da François Ozon (dal 25 aprile nelle sale) e con La syndicaliste di Jean-Paul Salomé, in uscita in autunno. Nel primo, ambientato a Parigi negli anni Trenta, interpreta una diva del muto in cerca di rilancio dopo l’avvento del sonoro, mentre nell’altro, ispirato a una storia vera, è la sindacalista Maureen Kearney, che dopo avere denunciato un accordo segreto tra una multinazionale francese del nucleare e la Cina, nel 2012 viene brutalmente aggredita e poi perfino accusata di avere inventato la violenza subita. A Roma, Huppert è ospite di “Rendez vous“, la rassegna che porta alla ribalta il cinema d’oltralpe.

Huppert, Mon crime, tratto da una commedia del 1934 sull’omicidio di un produttore teatrale che molestava le attrici, sembra rimandare alle battaglie del #MeToo.

"A Ozon piace, come aveva fatto con Otto donne e un mistero, prendere opere del passato e attualizzarle. In questo modo, il film diventa una sorta di manifesto femminista, a sostegno delle battaglie per il rispetto delle donne. Però il mio personaggio non è così femminista: più che alla causa delle donne, è interessata a recuperare i soldi che ha perso e a tornare a essere la grande attrice acclamata che era".

Nella sua carriera ha mai incontrato produttori, come quello di Mon crime, che volessero approfittare della loro posizione di potere?

"No, non mi è mai capitato".

Secondo lei il movimento del #MeToo ha prodotto degli effettivi cambiamenti?

"Sicuramente ha portato alla luce comportamenti che per anni le donne hanno subìto e non vogliono più subire. L’importante per le donne ora non è ottenere ruoli di donne forti e vincenti ma avere, al cinema come negli altri settori, quella centralità che io ho sempre avuto la fortuna e il privilegio di avere. E ho lottato per avere".

C’è un personaggio che non ha ancora interpretato e le piacerebbe impersonare?

"Non ho preferenze per quanto riguarda i ruoli. A guidare le mie scelte è il desiderio di lavorare con grandi registi che fanno grandi film. E la mia carriera non è scandita dai personaggi che ho interpretato ma dagli incontri meravigliosi che ho fatto con grandissimi registi, e non parlo solo di registi famosi come Chabrol, ma anche di registi meno conosciuti che mi hanno offerto il privilegio del loro sguardo. Ciò che a me interessava e interessa, sono questi incontri. E vedere cosa, l’incontro tra un regista e i suoi attori, riesce a generare. È così che vedo il cinema. Poi, se proprio devo dire una sfida che vorrei affrontare, forse è il ruolo di un uomo".

Pensa che la crisi delle sale sia irreversibile?

"Non conosco bene la situazione del cinema e delle sale in Italia ma sicuramente in Francia il cinema in sala va abbastanza bene, anche se certo non siamo ai livelli di prima della pandemia. E sicuramente dipende anche da tutti i nuovi modi possibili di fruizione. Ma Mon crime e La syndicaliste sono andati bene e quindi credo e spero che ancora per qualche anno la gente abbia voglia di andare a vedere i film in sala. Io sono tra questi".

Nonostante i tanti film fatti, non ha mai smesso di recitare anche a teatro, e dal 13 aprile al 14 maggio sarà in scena all’Espace Cardin, a Parigi, con Mary said what she said (Maria ha detto quello che ha detto), un monologo su Maria Stuarda, per la regia di Bob Wilson. Un richiamo irresistibile quello del palcoscenico?

"Come nel cinema, così anche a teatro, il mio percorso è stato segnato dall’incontro con grandi registi: registi che vanno oltre il repertorio e puntano all’astrazione. Per questo mi piace fare teatro. Con il cinema si è più vicini alla realtà, mentre in teatro è possibile una maggiore astrazione".

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