Giovedì 25 Aprile 2024

"Io, Montanari: criminale dal cuore spezzato"

Il “Libanese” della serie tv, ora padre tormentato nel film “Regina”, contro i social: "Hanno avvelenato la separazione con Andrea Delogu"

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di Giovanni Bogani

"Quando vedi uno spettacolo, o un film, non devi mai dire ‘bravo quell’attore’, ma ‘che esperienza umana ho vissuto!’. Fare l’attore è condividere esperienze umane. Non c’è altro, ed è moltissimo". Trentasei anni, romano, volto bello, fascinosamente ambiguo, Francesco Montanari è stato ieri sera ospite d’onore del Bardolino film festival, rassegna cinematografica in riva al lago di Garda diretta da Franco Dassisti. Montanari ha presentato il film Regina di Alessandro Grande, di cui è protagonista, e ha ricevuto il Ciak d’oro dalle mani del direttore di Ciak Flavio Natalia.

La popolarità, Francesco l’ha conquistata presto, con il ruolo del Libanese, lo spietato fondatore della banda della Magliana nella serie tv Romanzo criminale. E poi se l’è tenuta stretta, con scelte sempre molto forti: è stato un mafioso, ma anche un magistrato, un Romeo shakespeariano ma anche una drag queen. Non confinarsi in un personaggio sembra il suo credo. Ha vinto anche un premio a Cannes, come miglior attore di serie tv. Ma i social, si sa, sono attratti dalle vicende personali più che ad ogni altra cosa, e si sono scatenati con illazioni e ipotesi sulla fine del rapporto dell’attore con la conduttrice Andrea Delogu, dopo cinque anni di matrimonio.

Francesco, parliamo del premio per Regina e per il suo lavoro di attore. Che cosa rappresenta?

"Un prezioso incoraggiamento, per un mestiere molto delicato. Dobbiamo restituire, nei nostri personaggi, la dignità dell’essere umano. Questo premio mi dice che, qualche volta, forse ci sono riuscito".

Che cosa è, per lei, il mestiere dell’attore?

"Non è questione di tecnica, ma è sbagliato anche pensare il contrario, che basti la “faccia“. Il Neorealismo ci ha fatto credere che basti la faccia giusta. Ma non è vero: bisogna mettersi nudi verso un ruolo".

In Regina di Alessandro Grande che ruolo interpreta?

"Sono il padre di una ragazza di quindici anni: Ginevra Francesconi, bravissima. C’è fra noi una sorta di simbiosi, legata alla musica. Poi accade un turning point che cambia tutto, cambia i nostri rapporti. È un film delicato, sta tutto negli occhi, negli sguardi".

Media, giornali, social. Sono a volte una condanna?

"La fama è un’occasione per costruire un percorso artistico, per essere credibili. Niente di più. E sì, il fatto che sui social tutti dicano di tutto è pesante. Diceva De André: “Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio“. C’è una patologia sociale, per cui sui social network si dicono parole a caso, si specula in modo ridicolo su ogni episodio".

Come su quelli che hanno riguardato la sua vita privata. "Appena mi sono lasciato con mia moglie è successo il finimondo. Abbiamo scelto, entrambi, di non rispondere a niente. Andrea è anche più visibile di me: è stato molto brutto accorgersi che le persone in molti casi non sanno cosa sia la delicatezza. Illazioni, giudizi, pareri. Un negozio di parrucchiere infinito, mentre due persone soffrono in un momento fondamentale della loro esistenza".

Ci sono cose, nel suo lavoro, che non rifarebbe?

"Sì. Ogni anno, ogni giorno, ogni quarto d’ora. Ho fatto anch’io molti errori. Ho capito una cosa importante: se fai l’attore, all’inizio devi lavorare per guadagnare, devi pensare al frigorifero. Ma poi, appena il frigo è pieno, devi scegliere".

A trentasei anni, a che punto si sente della sua storia di attore, e della sua vita?

"Mi sento nel mezzo di una maratona. Questo è il mio mestiere, e questa è la vita. Sono serenamente inquieto. E in mezzo alla maratona, spero un giorno di fare dei figli".

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