Mercoledì 24 Aprile 2024

"Io, l’amica Ferrante Anima fuori dai margini"

Nel nuovo saggio, l’autrice racconta la sua arte tutta al femminile "Abitare le forme e poi sformare tutto ciò che non ci può contenere"

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di Chiara Di Clemente

Se ancora qualcuno nutre il dubbio che i romanzi della misteriosa Elena Ferrante siano scritti da un uomo, il volume I margini e il dettato (in uscita mercoledì 17 novembre, Edizioni EO) può decisamente aiutare a dissolvere anche gli ultimi residui di perplessità. I margini e il dettato raccoglie quattro saggi scritti dalla Ferrante: tre saggi sono “lezioni magistrali“ redatte su invito del direttore del Centro Internazionale di Studi Umanistici dell’Università di Bologna, il professor Costantino Marmo, lezioni che saranno portate in scena – sempre a Bologna – da mercoledì a venerdì 19 novembre all’Arena del Sole, diretta streaming, sotto il titolo La scrittura smarginata - Le Umberto Eco Lectures, dall’attrice Manuela Mandracchia. Il quarto saggio del volume, La costola di Dante, è invece stato composto per la chiusura del convegno degli italianisti sul Sommo Poeta e altri classici.

Ma torniamo alla questione femminile: ogni romanzo scritto dalla Ferrante è – inciso nella coscienza di milioni di fan dell’Amica geniale in tutto il mondo – sempre al contempo limpido e denso. Anche i saggi sono così, impongono fin da subito una lettura frenetica e lo fanno – per assurdo – proprio nello svelare il meccanismo che crea questo “patologico“ incanto. Meccanismo però non è la parola più appropriata: la Ferrante descrive la sua anima di scrittrice. Scrittrice precoce (il primo saggio, La pena e la penna) parte dal ricordo dei margini, le due righe verticali che delimitavano il quaderno dei temi: "Nella mia smania di scrivere, fin dalla prima adolescenza, agiscono probabilmente sia la minaccia di quelle righe rosse, sia il desiderio e la paura di violarle". Tutto parte, e si sviluppa qui, in tantissime dimensioni: letterarie certo, ma anche esistenziali, e sociali. Da qui e nei due saggi che seguono (Acquamarina e Storie, io) la Ferrante porta in scena – sulla pagina – la guerra che da sempre combatte per "imparare a usare con libertà la gabbia dentro cui siamo chiuse".

La gabbia dapprima sono, appunto, i margini; poi la gabbia è – nella Ferrante ventenne – il circolo vizioso: "se avevo l’impressione di scrivere bene, dovevo scrivere come un uomo, stando ben salda dentro la tradizione maschile; ma essendo donna, non potevo scrivere da donna se non violando ciò che diligentemente stavo cercando di imparare dalla tradizione maschile". In lei combattono due scritture, che non sono separate: "la prima, quella consueta, è quella è quella che mi tiene diligentemente nei margini... Il problema è l’altra scrittura, quella che Virginia Woolf si autoprescrive definendola un concentrato di sensibilità... Io racconto in attesa che, da uno scrivere ben piantato nella tradizione insorga qualcosa che scompigli le carte e la donna abietta e vile (come si autodefinisce in poesia Gaspara Stampa, ndr) che sono, trovi il modo di dire la sua".

Gabbie e libertà: gabbia l’aspirazione al realismo assoluto; libertà il realismo sfiduciato che sa di poter raccontare il là fuori "solo se racconto anche me che sono là fuori". Gabbie: l’aver considerato migliori gli scrittori uomini, aver conosciuto scrittori uomini che non hanno mai letto se non la Morante, neanche Jane Austen. Libertà: esaltarsi nel genio di Gertrude Stein, credere in Adriana Cavarero e nel della Dickinson sulle streghe "ma la Storia e io". Libertà: l’esistenza di un "io femminile" ampiamente letterario capace di dire davvero la "nostra verità di donne fino in fondo... Contro la lingua cattiva che storicamente non prevede di accoglierla".

Quale verità? Il coraggio: "È la verità di cui sono capace, squilibrando e sformando, per farmi spazio con tutto il corpo. Per me la scrittura vera è questo: non un gesto elegante, studiato, ma un atto convulso". Scrivere è "abitare le forme e poi sformare tutto ciò che non ci contiene per intero, che non ci può contenere". Scrivere è "accomodarsi in tutto ciò che è già stato scritto e farsi, nei limiti della propria vorticosa affollata individualità, a propria volta scrittura". È avere coraggio: perché le parole che vanno fuori dai margini, sono le uniche capaci di volare nel vento.

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