Giovedì 25 Aprile 2024

"Io, l'Orchidea selvaggia degli anni '70. Ho sedotto l'Italia: poi arrivarono le francesi"

"L’esordio al cinema a 16 anni, i divi e la commedia sexy. Ma fu difficile farmi accettare da mio padre ufficiale di Marina. Nessuna amicizia sul set, eravamo tutte belle e temevamo di perdere il posto. La mania per le straniere ci rovinò la piazza"

Orchidea De Santis

Orchidea De Santis

"Che cosa faccio adesso? Quello che ho fatto sempre: mi dedico a fare della mia vita un capolavoro". Ha un sorriso ancora luminoso, Orchidea De Santis. All’inizio degli anni ’70, era nei sogni di milioni di italiani.

Erano gli anni della commedia erotica: il periodo in cui Orchidea girava anche cinque, sei film all’anno. Sfaccettando quasi sempre lo stesso personaggio, seducente e leggero.

Orchidea selvaggia: fin troppo facile il gioco di parole. Ma più che selvaggia, attenta, disciplinata, collaborativa. E sapeva anche recitare. Ma erano le altre, le straniere, quelle che sembravano prendersi più spazio nei cartelloni. I ruoli da protagonista, il nome scritto più grande, nei titoli di testa. Edwige Fenech che portava il profumo dell’altra parte del Mediterraneo, Barbara Bouchet nordica e bionda, Laura Gemser che veniva dall’Indonesia, Zeudi Araya dalla pelle di luna. Sembrava quasi più facile desiderarle, quando venivano da lontano, e appartenevano di diritto al mondo dell’esotico, della fantasia. Lei, invece, era il sexy della porta accanto.

Orchidea, l’inizio non fu con il cinema, ma con la musica.

"Quando ero bambina, la famiglia si trasferì a Roma, e io finii nel coro delle voci bianche della Rai: ricordo un pianoforte enorme, a coda, e una professoressa austera. Imparai subito la disciplina, e non l’ho più dimenticata".

Con chi ha cantato?

"Diventai presto voce solista: e mi capitò di cantare con Fred Buscaglione, con Renato Rascel, con Johnny Dorelli, con Mario Del Monaco, di partecipare al Musichiere…".

Poi che cosa accadde?

"Poi ci fu la prima occasione di lavorare nel cinema. Era il 1964, avevo sedici anni. Era una piccola parte, in un film a episodi. Ma erano i primi soldi miei, e la possibilità di andarmene di casa. A sedici anni cominciai a vivere da sola".

Fu difficile fare accettare a suo padre la sua scelta?

"Non difficile, difficilissimo. Mio padre era ufficiale di Marina: e per fortuna, in Marina la mentalità è già un po’ più aperta. Ma ugualmente, fu tremendo. C’era ancora questa idea che le attrici fossero delle poco di buono. Secoli fa seppellivano gli attori in terra sconsacrata: ma ancora negli anni Sessanta c’era qualcosa di simile, nella mentalità comune".

Il primo partner, Enrico Maria Salerno. Com’era?

"Molto paterno e gentile. Io ero poco più che una bambina. Da allora ho fatto film di tutti i generi: peplum, western, comici".

Tanti film con attori anche internazionali. Chi ricorda?

"Michel Piccoli, con cui ho recitato in L’invasione: un gran signore. Gérard Depardieu con cui ho recitato in Tre simpatiche carogne: era già selvatico. Uno che mangiava con le mani, che si puliva con la manica la bocca sporca di sugo. Ma un genio assoluto nel recitare".

Nel 1972 stabilì un record: cinque film "decamerotici" uno dopo l’altro. Ma come li ricorda?

"Sono grata anche a quei film. Non si può vivere solo di cinema d’autore: e io, orgogliosamente, ho sempre vissuto del mio lavoro, senza chiedere niente a nessuno, senza stare insieme a nessun potente, nessun produttore. Se mi chiedono ‘quale film preferisci?’, io rispondo: tutti. Perché tutti mi hanno dato la possibilità di esprimermi. Anche le p…ate mi hanno permesso di essere una donna indipendente".

Quali attori ricorda con più affetto?

"Don Backy, con cui ho girato un paio di ’decamerotici’. Ero una fan delle sue canzoni, e ritrovarmi a recitare con lui è stata un’emozione. E Renzo Montagnani, che – non sono io a scoprirlo – aveva un talento di attore enorme, quasi sprecato per certi film. Ma doveva lavorare molto per pagare le cure a un figlio molto malato: per questo girava un film dopo l’altro".

Aveva amici, fra i colleghi?

"No. Sui set non si formavano grandi amicizie, finito il film ognuno andava per la sua strada".

Le sue colleghe di genere? Edwige Fenech, Barbara Bouchet e le altre?

"No. Soffrivo un po’ la mania degli italiani per l’estero, arrivavano attrici con nomi un po’ esotici e occupavano la scena. E poi, diciamocelo: nessuna era indispensabile, nessuna era Eleonora Duse. Tutte eravamo un po’ intercambiabili, un bel faccino e un bel paio di gambe. Se quel lavoro non lo prendevo io, lo prendeva un’altra".

Quindi c’era la paura di essere messe da parte, un po’?

"Certo. Così accettavi due, tre film di fila. Poi scoprivi che il film che avevi fatto lo manipolavano".

In che senso?

"Beh, tu giravi il film e poi arrivavano degli attori che aggiungevano delle scene ‘per la versione per l’estero’. Noi non sapevamo in che cosa consistesse, questa versione per l’estero. Scoprimmo dopo molti anni che venivano inserite vere e proprie scene porno, con attori di cui non si vedevano i volti! Così facevano credere che fossimo noi a girarle!".

Ha girato dei film porno senza saperlo?

"Non io: ma hanno fatto credere che fossi io. A vent’anni non ti rendi conto di molte cose".

Per quello poi ha deciso di smettere?

"No. Per una cosa molto più seria. Sul set di Arrivano i Gatti nel 1979, caddi in una botola di scena, e rischiai grosso di rompermi l’osso del collo. Novanta giorni di prognosi, due operazioni, due anni per rimettere a posto il braccio. Non si alzava più".

Smise perché non si sentiva fisicamente bene?

"No. Smisi perché la produzione non mi tutelò come avrebbe dovuto. E capii che gli attori sono carne da macello. Ebbi grosse delusioni da chi non depose al processo su come si svolse quell’incidente. Quella volta ho perso l’amore per il cinema. Ho fatto programmi alla radio, le prime trasmissioni tv sugli animali. Ma cinema mai più. E avevo trentun anni".

Adesso che cosa fa?

"Ho preso a cuore le sorti di un parco, il parco di Monte Ciocci, a Roma, una sorta di montagna verde tra la Balduina e la via Aurelia, da cui si può ammirare un panorama spettacolare. Si vede la Basilica di San Pietro, si vede tutta Roma. Era una zona degradata: io ho fatto una battaglia durata anni per trasformarla in un parco".

Perché proprio questo parco?

"Lo dovevo al mio amico Ettore Scola. Lui scelse di girare qui Brutti, sporchi e cattivi, un bellissimo film con Nino Manfredi, fra le baraccopoli nate negli anni Sessanta. Parlavamo spesso insieme del futuro di quest’area. Adesso in questo parco possono venire a giocare i bambini".

E a se stessa, che cosa concede?

"Io cerco, come le ho detto, di fare della mia vita un capolavoro. In ogni momento. Ci sono le amicizie, le persone, le letture, il tempo da vivere, in ogni momento".

 

 

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