
Javier Cercas esplora il cristianesimo sovversivo di Papa Francesco nel suo nuovo libro, un viaggio tra fede e ateismo.
"Il cristianesimo o è sovversivo oppure non è". Così lo scrittore spagnolo Javier Cercas (63 anni), parlando del suo ultimo romanzo Il folle di Dio alla fine del mondo (Guanda), spiega la critica di papa Francesco al costantinismo, inteso come "l’associazione del potere politico con la religione". Una "catastrofe", un difetto "letale" per Bergoglio: in quanto il cristianesimo, e dunque la Chiesa cristiana, o è sovversiva o non è, e non può iscriversi al potere.
Nel 2023 lo scrittore – nato in Estremadura e cresciuto a Girona, Catalogna – ateo dichiarato, è volato in Mongolia con Francesco. Un’esperienza che non dimenticherà, da cui è nato il suo più recente libro, presentato ieri sera dall’autore, in dialogo con Aldo Cazzullo (peraltro personaggio del romanzo) e Sabina Minardi, all’Auditorium Parco della musica, per il secondo appuntamento delle Anteprime di Letterature festival internazionale di Roma.
"Questa è la storia del pazzo di Dio raccontata dal pazzo senza Dio – spiega Cercas – ovvero una versione di me stesso basata sul pazzo di Nietzsche che nella Gaia scienza esce in pieno giorno con una lanterna accesa gridando: Dio è morto e lo abbiamo ucciso noi. Ma quel pazzo non è euforico, bensì desolato, poiché se Dio non esiste, tutto è permesso".
L’autore di Soldati di Salamina racconta che tra le cose strane che questo papa ha fatto, c’è la richiesta di chiedergli di scrivere questo libro. "Io sono – afferma Cercas – quel pazzo senza Dio, che ha seguito il papa che ha voluto chiamarsi come il santo di Assisi, “il folle di Dio“, fino in Mongolia, alla fine del mondo". Quello che ne è venuto fuori è un volume che lo scrittore definisce "un romanzo senza fiction": a cavallo fra il saggio, la cronaca, il report di viaggio, la biografia e l’autobiografia. Per scriverlo, ha esplorato i labirinti del Vaticano, indagato e parlato con cardinali, sacerdoti, missionari, suore, lavoratori e giornalisti durante due anni.
Benché difficile da etichettare, questo libro è anche un giallo: c’è un enigma da decifrare. L’autore vuole svelare il mistero fondamentale del cristianesimo, ovvero la resurrezione della carne e la vita eterna. "Mia madre rivedrà mio padre dopo la morte?" Questa è la domanda che, "come un bambino", Javier pone a Francesco, quella a cui tiene di più. La risposta giunge soltanto alla fine del viaggio e arriva in una forma che l’autore de L’impostore definisce incredibile, "direi miracolosa, se credessi ai miracoli".
Ebbene, questo è un romanzo denso di interrogativi, attraverso i quali però Cercas riesce a ricostruire un ritratto di Bergoglio chiaro e lucido: Francesco è un papa profondamente anticlericale, che ha iniziato una rivoluzione per il ritorno a un cristianesimo iniziale (radicale e "di certo non “conservatore“"), ma prima di ogni cosa è un uomo in lotta con sé stesso, è un peccatore che chiede ai fedeli di pregare per lui. È un cristiano "che ha un senso molto acuto del futuro, perché ne ha uno altrettanto acuto del passato". Un uomo che non parla, ma "canterella".
Il folle di Dio alla fine del mondo è un ritorno alle origini, alla fede cattolica che Javier Cercas ha perso da molto tempo: "Sono uno scrittore perché ho perso la fede", come si legge all’inizio del libro. Quando gli viene chiesto se gli è tornata, Cercas ribadisce il suo ateismo. "La fede – afferma – non è qualcosa che puoi acquisire tramite un atto di volontà". Poi aggiunge, sposando un’osservazione dello stesso Francesco, secondo cui "la cosa più vicina alla Grazia è il senso dell’umorismo". "Se ho ritrovato la fede – conclude lo scrittore – non posso dirlo. Se lo dicessi non venderei neanche una copia".