Venerdì 10 Gennaio 2025
ELVIO GIUDICI
Magazine

Inaugurazione scaligera: Riccardo Chailly incanta con 'La Forza del destino' di Verdi

Riccardo Chailly dirige magistralmente 'La Forza del destino' alla Scala, con un cast memorabile guidato da Anna Netrebko.

Il tenore americano Brian Jagde, 44 anni, Don Alvaro, con il baritono francese Ludovic Tézier, 56 anni, Don Carlo: ripetuti gli applausi a scena aperta

Il tenore americano Brian Jagde, 44 anni, Don Alvaro, con il baritono francese Ludovic Tézier, 56 anni, Don Carlo: ripetuti gli applausi a scena aperta

Molte cose rendono memorabile questa inaugurazione scaligera: ma sopra ogni altra, la direzione di Riccardo Chailly. Verdi amava definire “tinta” l’atmosfera generale delle sue opere, con ciò intendendo l’insieme di parametri musicali (profili melodici, ritmici, colore, timbro, percorsi e concatenazioni armoniche) che forma il nucleo drammaturgico e il disegno dei personaggi: cioè a dire, il suo far teatro.

Quella della Forza del destino, più d’ogni altra sua opera è ottenuta con la giustapposizione di un’oltremodo cospicua varietà di tratti: un “comic relief” shakespeariano, continuo reiterarsi di dettagli microscopici dai nessi anche molto laschi, eppure confluenti in una stupefacente fluidità conversativa, che sovente arretra i personaggi principali per fare emergere piccole figure laterali che nella loro digressione narrativa caratterizzano realisticamente l’ambiente. Tinta fascinosissima, ma enormemente difficile da realizzare: calchi troppo, e cadi nella retorica; calchi troppo poco, ed evapora il divenire narrativo. Bene.

Fin dal primo annuncio del celebre tema che s’è soliti definire del Destino laddove è piuttosto quello di Leonora e della sua passione bruciante, Chailly ne comunica sì, e mirabilmente, il frenetico anelare intriso d’erotismo, però l’immerge in una morbida, compatta austerità che ricorda dappresso la sintassi manzoniana, la cui comunicativa immediata diviene la cifra (“tinta”, appunto), dell’esecuzione tutta: sismogramma perfetto della motilità interiore d’ogni personaggio e situazione. I brulicanti piccoli mondi dell’osteria, dell’accampamento, della folla cenciosa al convento: tutto un mostrare il grande evento storico in prospettiva rovesciata, dal punto di vista d’una piccola umanità emarginata. Quasi un distanziamento brechtiano, tale genialissima idea drammaturgica verdiana: mai ne avevo sentito così sovranamente reso lo stupefacente linguaggio strumentale con cui si esplica, e che qui accompagna cast altrettanto memorabile.

Anna Netrebko plasma l’ennesimo suo capolavoro; fascino timbrico, grandiosa potenza di arcate vocali che di colpo evaporano in pianissimi impalpabili che però saturano di suono la sala, varietà di fraseggio: tutto si fonde in bruciante, personalissima comunicativa. La stupenda voce di Brian Jagde (Don Alvaro) è perfetto amalgama di bronzo e velluto, fascinosa morbidezza sia nello sfolgorio di acuti al fulmicotone, sia nel donare ali possenti a melodie tra le più ampie e robuste mai escogitate da Verdi. Per giunta sono entrambi belli da vedere, il che giova assai a questo romanzo popolare in musica. Ampia e benissimo timbrata pure la voce di Ludovic Tézier (Don Carlo); giusto un po’ slaveggiante ma di bell’impatto quella di Alexander Vinogradov (Padre guardiano).

Si sa quanto Verdi martellasse sulla necessità di avere ottimi artisti per Trabuco, Melitone, Preziosilla: Carlo Bosi è strepitoso nel rendere il piagnucolare motivico del primo, Marco Filippo Romano non gli è da meno nel cesellare il ciabattante monologare del secondo, e Vasilisa Berzhanskaya è bravissima nell’evitare che Preziosilla scada nei gesti e nel canto a Carmen dei poveri. Quanto all’impegnatissimo coro di Alberto Malazzi, dire che è strepitoso neppure dà l’idea; come il settore maschile canta (sovranamente accompagnato, va detto) l’incredibile capolavoro della Ronda, e come quello femminile effonde il lancinante “Povere madri” dei coscritti: non c’è gara per nessun altro.

Lo spettacolo di Leo Muscato si svolge tutto su di un enorme girevole, i molteplici spicchi del quale sono centrati sul tema della guerra, reiterato in quattro epoche diverse dal Settecento ai giorni nostri (subito in mente il “Guerra è sempre” che Primo Levi mette in bocca al suo Morda Nahum): immagini bellissime e suggestive si susseguono in una sorta di continuo piano sequenza, rendendo alla perfezione quel carattere – unico, nel gran teatro verdiano – di racconto popolare a dispense illustrate che forma l’essenza di questo capolavoro: impianto quindi in totale sintonia con la portentosa direzione di Chailly.

Spettacolo, in sintesi, da libro d’oro della Scala: e, quantunque non siano state granché, dissento con forza dalle contestazioni rivolte alla regia.