Cannes, 'Il traditore' accolto da 13 minuti di applausi

Bellocchio e Favino trionfano con Buscetta: "Non un eroe, ma una figura teatrale"

Cannes 2019, Pierfrancesco Favino, il regista Marco Bellocchio e Luigi Lo Cascio

Cannes 2019, Pierfrancesco Favino, il regista Marco Bellocchio e Luigi Lo Cascio

Cannes, 24 maggio 2019 - "Volevo fare un film popolare, nella sua semplicità", dice Marco Bellocchio. Che ieri, accolto da 13 minuti di applausi, ha presentato a Cannes Il traditore, unico film italiano in concorso, e già nelle nostre sale. Nel film, Bellocchio racconta la vicenda di Tommaso Buscetta, il boss di Cosa nostra che fu uno dei primi e più importanti 'pentiti' della storia. Grazie alle sue testimonianze, i magistrati hanno potuto capire e conoscere il sistema mafioso, la sua organizzazione. E hanno potuto incriminare e condannare decine di mafiosi.

"Che cosa c’entravo, io, con Tommaso Buscetta? Apparentemente nulla", dice Bellocchio. "Io vengo da Piacenza, i morti di Palermo per me erano lontani. Di Buscetta sapevo quello che scrivevano i giornali. Poi il produttore Beppe Caschetto mi ha proposto l’idea di un film su Buscetta. Ho letto molto, e piano piano mi sono interessato a questo personaggio, tanto da avere una grande voglia di raccontarlo". "Perché?", prosegue il regista. "Non lo so fino in fondo. Buscetta certamente non è un eroe, e non credo di aver creato questo equivoco con il mio film. Ma è una figura tragica, e un personaggio molto teatrale. Quando parla con Giovanni Falcone, sono come due attori di teatro, recitano due ruoli diversi, ma hanno entrambi questa teatralità siciliana. Buscetta era un uomo ignorante, così diverso dai personaggi che mi hanno affascinato per la loro storia culturale. Non leggeva e non se ne vergognava, amava la vita, tradiva la moglie pur amandola. Mi sono appassionato alle sue contraddizioni". E in segno d’antitesi, nel film non mancano note verdiane, dal Va’ pensiero al preludio del Macbeth.

Per raccontare quest’uomo, ci sono voluti tre anni e undici stesure della sceneggiatura, scritta dallo stesso Bellocchio con Francesco Piccolo, Ludovica Rampoldi e Valia Santella. Alla fine, per dare a Buscetta un corpo, un volto, una voce, Bellocchio si è affidato a Pierfrancesco Favino. "Buscetta era abile, accorto. Intelligentissimo nel costruire un’immagine esattamente come voleva lui", dice Favino. "Sono convinto che sia sempre stato molto più importante e potente di quanto dichiarava. È uno che si è cambiato la faccia più volte già negli anni ’70: eppure si è sempre accusato solo di delitti marginali, negando di aver mai trafficato droga, quando tutto indica il contrario. Era un grande stratega della comunicazione, ha sempre tenuto qualche altro segreto per sé, per giocarselo al momento giusto. Una sola volta si è trovato di fronte uno abile quanto lui: Giovanni Falcone. Buscetta e Falcone si sono rispettati, pur trovandosi dalle parti opposte del fiume. Non direi siano stati amici: ma fra loro correva un sentimento altrettanto nobile e forte, il rispetto siciliano".

Per interpretare il "boss dei due mondi", Favino è ingrassato di quasi dieci chili. "Ho scelto di farlo, perché quel fisico rimandava subito a una cosa che si trascura spesso: la ruralità della mafia". Cioè? "Cioè, i mafiosi sono – alla fine – un gruppo di imprenditori agricoli, che si rivelano tali anche in alcuni dettagli fisici. Stomaci rotondi, un’aria tozza, che non si sfila neanche col gabardine. Mettendo su quei dieci chili, mi è cambiato il respiro. E quando cambi il modo di respirare, cambia il modo in cui ti guardano gli altri".

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