Venerdì 19 Aprile 2024

Il tempo le ringiovanisce: biblioteche geniali

Gli spazi non bastano più e gli architetti si sfidano a colpi di innovazione. Dalle tavolette d’argilla al digitale, l’arte infinita di collezionare scritti

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di Lorenzo Guadagnucci

Nel 1785 Étienne-Louis Boullée disegnò il progetto di una favolosa Bibliothèque du Roi: cento metri per trenta, gli scaffali allestiti su enormi gradoni utili alla consultazione. Nessuno aveva mai pensato una simile distribuzione degli spazi. Unico difetto: era irrealizzabile con i mezzi e le tecnologie del tempo. Il progetto ha tuttavia ispirato la costruzione di biblioteche nei secoli seguenti, per esempio il modernissimo Centro Grimm dell’Università Humboldt di Berlino, la più grande libreria a scaffale aperto della Germania, realizzata nel 2009. Il “caso Boullée“ è una buona metafora della storia universale delle biblioteche, ricca com’è di ardimento, ingegno e immaginazione.

C’è un filo che lega le tavolette di argilla rinvenute a Eble (oggi Siria), prima testimonianza storica di una “biblioteca“, e i milioni di volumi della Biblioteca nazionale di Pechino, un coraggioso edificio considerato da James Campbell e Will Pryce – uno docente di architettura a Cambridge, l’altro fotografo, autori di un sontuoso volume pubblicato da Einaudi, La biblioteca. Una storia mondiale – il più bell’esempio di biblioteca nazionale del XXI secolo (manco a dirlo, riprende l’idea di Boullée dei gradoni).

Le biblioteche, a dispetto dell’era digitale e nonostante le temporanee chiusure forzate per la pandemia, sono tutt’altro che in declino, specie quelle pubbliche e gratuite, presidio di cultura, socialità e democrazia. Furono i romani i primi a concepire l’idea delle biblioteche per uso pubblico, perciò quella di Celso a Efeso, oggi in Turchia, sopravvissuta fino a oggi, merita d’essere menzionata quanto e forse più delle celebri biblioteche di Pergamo e di Alessandria. Ma è difficile fare una graduatoria fra le biblioteche della storia, c’è semmai da osservarle, ammirarle e spesso stupirsi. Si incontrano matrici di legno per testi sacri buddisti vecchie di ottocento anni conservate in monasteri coreani, leggii con libri incatenati, codici avvolti in coperte, anche minuscoli pipistrelli utilizzati per combattere gli insetti ghiotti di carta ( succede ancora a Coimbra e Mafra, in Portogallo).

E che dire della memorabile biblioteca descritta da Umberto Eco ne Il nome della rosa? Che è un falso storico. Eco ambienta la vicenda nel 1327 e qualcuno ha calcolato che la biblioteca immaginata nel romanzo potesse contenere 85mila libri, ma la più ricca collezione del tempo (dati del 1338) era alla Sorbona e comprendeva solo 338 volumi per consultazione e 1728 catalogati. Eco, fine medievista, ha dunque mescolato le carte per esigenze romanzesche.

L’Italia ha un posto rilevante nella storia delle biblioteche. La Laurenziana a Firenze, disegnata da Michelangelo per Papa Clemente VII, col soffitto piatto e l’illuminazione su due lati, è la più originale del suo tempo; la Malatestiana di Cesena è quella che conserva le collezioni e gli arredi originali più antichi; l’Ambrosiana di Milano è un bell’esempio di utilizzo delle balconate per l’accesso alle collezioni.

Negli ultimi decenni il problema degli architetti è l’enorme numero di libri da custodire, specie per le biblioteche nazionali, quelle che ricevono tutti i volumi stampati nel paese. C’è chi costruisce depositi esterni meccanizzati e digitalizzati da otto milioni di volumi, come la Bodleian Library di Swindon, nel Regno unito; chi realizza strutture da quattro milioni di volumi ma con capienza raddoppiabile, come la bellissima Biblioteca di Stato di Berlino; chi inventa un edificio con quattro torri da usare come deposito, liberando così l’area centrale per sale di lettura e uffici, come la Bibliothèque nationale di Parigi, inaugurata nel 1996 dopo durissime polemiche, oggi gloria nazionale nonché luogo amatissimo dai parigini che la frequentano, attirati anche dal giardino alberato interno.

La storia dei libri e dei luoghi pensati per ospitarli è un’affascinante mistura di praticità, esibizionismo, inventiva. È un’avventura umana appassionante, che passa di sfida in sfida. La prossima potrebbe essere la costruzione (o la riorganizzazione) di biblioteche a prova di Coronavirus. Sempre che in Cina o chissà dove non ci abbiano già pensato.

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