Giovedì 18 Aprile 2024

Il soldato che scrisse "t’amo" nella storia

In Cina spunta un messaggio di 2000 anni fa inciso sul bambù. Dagli egizi ai greci, gli antichi descrissero la forza invincibile dei sentimenti

Il primo bacio della storia dell’arte lo racconta Giotto nel Trecento

Il primo bacio della storia dell’arte lo racconta Giotto nel Trecento

"Omnia vincit amor et nos cedamus amori" (l’amore vince ogni cosa: arrendiamoci anche noi all’amore). Che gli antichi fossero intimamente convinti della potenza d’amore non lo dice soltanto questo mirabile verso di Virgilio (Bucoliche, X, 69), ma lo confermano un numero sempre crescente di oggetti di uso quotidiano.

È notizia di pochi giorni fa il ritrovamento di un coperchio in legno di bambù in Cina (a Dunhuang, nella parte nordoccidentale del Paese) e risalente alla Dinastia Han (202 a. C. – 220 d. C.): sull’utensile due semplici parole, amore e lealtà, vergate quasi certamente dal comandante di una guarnigione militare. Due parole che testimoniano un dilemma apparentemente inconciliabile: la scelta tra il ritorno tra le braccia dell’amata e la fedeltà all’Imperatore continuando a servirlo nel ruolo di ufficiale dell’esercito.

Una dicotomia, quella tra passione amorosa e senso del dovere, che ci riporta a colei che più di tutti ha saputo dare voce all’ "amore dolceamaro", "all’amore che scioglie le membra". È stata Saffo, poetessa greca (VII-VI a. C.) insuperata nel cantare gli struggimenti dell’animo di fronte al sentimento più bello, a teorizzare in una famosa ode (Ode 16 della collezione Voigt) come l’amore sia la cosa più nobile sulla terra; come lei stessa, che sceglie di dare spazio a qualunque costo alla propria passione, sia da preferirsi a chi passa la vita a combattere nell’esercito o in mare o a chi si dedica completamente al commercio per arricchirsi.

Una scelta estrema, quella di arrendersi alla potenza di Afrodite, divinità dei turbamenti erotici, a cui Saffo o il suo corrispettivo latino Catullo si abbandonano senza combattere.

Che l’amore fosse una forza invincibile, gli antichi lo capirono subito e scatenarono la loro fantasia nell’immaginarsi miti e divinità antropomorfe per rappresentare la potenza micidiale di un simile uragano di emozioni. Gli egizi per primi hanno legato la passione amorosa alla dea Hathor: una divinità dall’aspetto di bellissima fanciulla in fiore, colorata ed elegante nei suoi abitini succinti; una potenza assoluta legata alla gioia, alla bellezza e alla maternità, che nella civiltà dei faraoni erano viste come gli effetti naturali dell’incontro amoroso tra due giovani.

Gli egizi si sono rivelati in più occasioni libertini, quasi spregiudicati nel rappresentare scene erotiche: il papiro erotico di Torino (XX Dinastia, attorno al 1100 a. C.), con esplicite scene di amplessi, offre l’esempio più noto della propensione alle gioie del sesso in riva al Nilo.

Così come sono antichissimi i riferimenti a unioni tra persone dello stesso sesso (l’omosessualità all’ombra delle piramidi non era ben vista, ma comunque tollerata); un frammento di papiro della III Dinastia (2700 a. C.) racconta un gossip antico: durante un festino licenzioso un militare, a quanto sembra di alto rango, si sarebbe appartato con un giovane poco più che adolescente.

Fu solo all’interno delle civiltà classiche, in particolare nell’Atene di Pericle, Socrate e Platone (V sec. a. C.), che l’eros, inteso come unione di sesso e sentimento, veniva declinato in forme differenti e complementari tra loro, almeno per i cittadini di sesso maschile.

Un uomo poteva avere una moglie con cui formare giuridicamente una famiglia; poteva intrattenersi con escort di elevata cultura con cui affrontare impegnativi discorsi filosofici (erano le etère, come Aspasia, disinibita e coltissima fanciulla di Mileto, poi sposa di Pericle, il più grande statista di Atene); poteva poi andare per appagamento sessuale con prostitute da strada (pornèiai); poteva infine provare il godimento, fisico e intellettuale, dell’amore omoerotico con giovani e meno giovani.

La coppia Socrate-Alcibiade (giovane bellissimo e politico in ascesa nell’Atene del V sec. a. C.) era sulla bocca di tutti, così come leggendaria sarebbe diventata la coppia Alessandro Magno-Efestione unita da quella “philìa” (a metà tra amicizia e possesso amoroso) già teorizzata da Omero nell’Iliade con il rapporto Achille-Patroclo.

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