Il sogno di Jimi: Hey McCartney, suona con me

Mezzo secolo senza Hendrix. La sua chitarra ha rivoluzionato il rock, la sua utopia prima di morire era una superband con Paul e Miles

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di Matteo Massi

"Registriamo un Lp insieme questo weekend a New York. Che ne dici di venire a suonare il basso?". Ventuno ottobre 1969, firmato Jimi Hendrix. Il telegramma è per Paul McCartney. E la proposta è tutt’altro che indecente: formare un gruppo che sarebbe potuto entrare nella storia della musica. Jimi, Paul e Miles, sì Miles Davis (che avrebbe chiesto 50mila dollari per fare il disco). Ma Macca era in vacanza in Scozia, così rispose la Apple records (la casa discografica dei Beatles, ormai sulla strada del divorzio). E non se ne fece nulla. Quel giorno iniziò, anche, l’ultimo anno di vita di Jimi Hendrix. Irrequieto nel cercare nuove strade, insoddisfatto perfino della sua immagine che era già iconica e che ancora di più lo sarebbe diventata dopo la sua morte: bocciava ripetutamente le copertine dei suoi dischi, anche se poi era costretto ad assecondare le scelte grafiche della sua etichetta.

Il 18 settembre 1970 Jimi verrà trovato morto nell’appartamento che aveva affittato al Samarkand Hotel di Londra. Mezzo secolo da quella fine tra i conati di vomito, raccontati dalla fidanzata dell’epoca, Monika Danneman, che provò invano a soccorrerlo. Una fine che è stata materia di biografie, controbiografie e concime per costruire anche fantasiose teorie del complotto: Hendrix spiato dall’Fbi, Hendrix spiato da Hoover in persona, Hendrix nemico numero uno degli Stati Uniti per quel vilipendio all’inno americano fatto con la chitarra in fiamme a Woodstock.

Un’incessante produzione (poco) letteraria e molto pubblicistica che ha rischiato (seriamente) di distogliere lo sguardo dall’unica cosa che conta: la rivoluzione musicale, partendo da una chitarra. A iniziare da quella acustica, da 5 dollari, che il papà regalò al piccolo Jimi, subito dopo la morte della mamma, per arrivare a quella elettrica. L’elettrica: praticamente un’estensione del suo corpo. Era mancino ma aveva voluto che le corde della chitarra fossero montate come se a suonare lo strumento fosse un destro. Joe Perry, il chitarrista degli Aerosmith, ha detto: "La grandezza di Hendrix? Aver riempito di colori uno strumento in bianco e nero".

Un po’ quello che gli riconosce McCartney, l’amicizia o meglio la stima, seppure a distanza, è datata 1967. Melody Maker mette a disposizione di Macca l’ascolto, in anticipo, di Purple Haze. E Paul resta folgorato dal suono di quella canzone, i Beatles avevano già intrapreso la strada più psichedelica e seppure quell’accezione della musica infastidiva Jimi, le schitarrate di Hendrix sono lievito anche per Sgt. Pepper, capolavoro dei Fab Four. McCartney scrive: "Hendrix è un asso della chitarra, l’album è incredibile". Di Are You Experienced il bassista dei Beatles s’innamora anche di Hey Joe. Amore corrisposto da Hendrix per Sgt. Pepper. Il 4 giugno del 1967, l’album dei Beatles è da poco uscito, e lui sale sul palco al Saville Theatre di Londra ed esegue proprio Sgt. Pepper. È quasi scontato, due anni dopo, vista la reciproca stima, che le strade dei due siano destinate a incrociarsi, anche perché nel frattempo Macca l’ha “raccomandato” anche al festival di Monterey. Ma ciò non avviene. McCartney dirà a proposito della notte del Saville, cui assistette insieme a George Harrison e al manager Epstein, "fu un onore immenso".

A cinquant’anni di distanza il mito Hendrix – e non tanto per l’annedottica bella e dannata del club dei 27 (lui, Janis Joplin, Jimi Morrison e poi Cobain) – rimane intatto nel suo splendore. Soprattutto per i giovani chitarristi o per gli aspiranti che non si accontentano di avere in mano (più) uno strumento di accompagnamento, ma lo strumento, in grado di fare e dettare la musica. L’eredità migliore che Hendrix, oltre alle sue canzoni, potesse lasciare.

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