di Silvia Gigli Si chiamava Tenzing Norgay (o Norkay), era nato a Khumbu, in Nepal, il 29 maggio 1914 e lasciò questo mondo il 9 maggio 1986 non dopo aver fatto di sé una leggenda. Alpinista nepalese-indiano di etnia sherpa fu infatti il primo uomo, insieme al neozelandese Edmund Hillary, a raggiungere la vetta dell’Everest. Era il 29 maggio 1953. Il suo compleanno. Si torna oggi a parlare di Tenzing e delle sue prodezze grazie alla recente riedizione, sul New Yorker, del lungo reportage firmato da Christopher Rand e pubblicato il 28 maggio 1954, un anno dopo l’epica avventura, col titolo Tenzing of Everest. Tenzing ebbe sette figli, scrisse cinque libri, ma la sua creatura più amata fu la vetta vergine che i suoi piedi per primi calcarono. Partecipò a più spedizioni sull’Everest di qualsiasi altro uomo. Fu osannato e invidiato, sedotto dai diversi partiti indiani, fu celebrato in Gran Bretagna dalla regina Elisabetta divenne amico del primo ministro indiano Nehru e fondò una scuola per alpinisti. Il più noto cittadino di Darjeeling, in quel maggio del 1954 era a casa. La clamorosa impresa dell’anno precedente gli aveva fatto guadagnare una pausa, immergendolo in una nuova carriera fatta di pubblicità e politica, molto più redditizia ma non priva di tensioni. Non sapeva niente di pubblicità, parlava poco l’inglese e si lamentava di aver perso dieci chili con la scalata dell’Everest e se avesse previsto i risultati, non sarebbe mai salito. Perché nei suoi confronti si era scatenata una forte gelosia: ai tanti che lo consideravano un eroe, facevano eco quelli che lo definivano un servo degli inglesi, degli svizzeri – con cui aveva tentato diverse volte la scalata negli anni precedenti – o del neozelandese Hillary, con il quale aveva lasciato sulla vetta dell’Everest 4 bandiere (Nazioni Unite, Gran Bretagna, Nepal e ...
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