di Andrea Cionci Uno degli oggetti più banali della vita di tutti i giorni è, oggi, l’accendino, ma il primo di questi nacque 200 anni fa con la meravigliosa Lampada di Döbereiner: un gioiello della tecnica, un prezioso status symbol per l’alta società. Ne abbiamo ritrovato un rarissimo esemplare, (forse l’unico in Italia), non a caso presso gli eredi di una famiglia nobile romana, la stessa che diede i natali al sismologo Adolfo Cancani-Montani (1856-1904), coatuore, insieme a Mercalli e Sieberg, dell’omonima Scala per la misurazione dei terremoti (MCS). Tuttavia, questo accenditoio da tavolo – delle dimensioni di un barattolo da caffè – fu brevettato nel 1823 e poteva essere stato già acquistato dal padre di Adolfo, Luigi, proprietario di una fabbrica di munizioni per l’esercito pontificio situata dietro Campo de’ Fiori. In ogni caso, la Döbereiner fu utilizzata, in famiglia, per circa un secolo, fino agli anni ’40. Il funzionamento è geniale: il vaso di vetro blu contiene acido solforico; all’interno è nascosta una campana di vetro con, appeso, un pezzo di zinco. Immergendo il metallo nell’acido, con una levetta, esso comincia a corrodersi sviluppando idrogeno che, riempiendo l’ampolla, sfoga su un filo di platino attraverso un beccuccio di ottone. Per un effetto chimico detto “catalisi”, a contatto con il gas, il platino diventa incandescente e accende uno stoppino imbevuto d’olio. Una volta chiuso l’ugello, l’idrogeno residuo, colmando l’ampolla, abbassa il livello dell’acido riportando all’asciutto il pezzo di zinco. In tal modo, l’accendino resta pronto per un nuovo soffio di idrogeno e una nuova fiamma. Niente elettricità, niente pietre focaie: solo pura chimica, per un’infinità di accensioni. Di queste lampade sono conservati due soli esemplari conosciuti: uno al Deutsches Museum di Monaco e l’altro presso l’Apotheke (antica farmacia) del castello di Heidelberg. Il secondo è particolarmente simile all’esemplare romano, anche se il ...
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