Giovedì 18 Aprile 2024

Il primo accendino: una fiamma di platino

Ritrovata a Roma una rara Lampada di Döbereiner, congegno inventato duecento anni fa dal chimico tedesco amico di Goethe

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di Andrea

Cionci

Uno degli oggetti più banali della vita di tutti i giorni è, oggi, l’accendino, ma il primo di questi nacque 200 anni fa con la meravigliosa Lampada di Döbereiner: un gioiello della tecnica, un prezioso status symbol per l’alta società. Ne abbiamo ritrovato un rarissimo esemplare, (forse l’unico in Italia), non a caso presso gli eredi di una famiglia nobile romana, la stessa che diede i natali al sismologo Adolfo Cancani-Montani (1856-1904), coatuore, insieme a Mercalli e Sieberg, dell’omonima Scala per la misurazione dei terremoti (MCS). Tuttavia, questo accenditoio da tavolo – delle dimensioni di un barattolo da caffè – fu brevettato nel 1823 e poteva essere stato già acquistato dal padre di Adolfo, Luigi, proprietario di una fabbrica di munizioni per l’esercito pontificio situata dietro Campo de’ Fiori.

In ogni caso, la Döbereiner fu utilizzata, in famiglia, per circa un secolo, fino agli anni ’40. Il funzionamento è geniale: il vaso di vetro blu contiene acido solforico; all’interno è nascosta una campana di vetro con, appeso, un pezzo di zinco. Immergendo il metallo nell’acido, con una levetta, esso comincia a corrodersi sviluppando idrogeno che, riempiendo l’ampolla, sfoga su un filo di platino attraverso un beccuccio di ottone. Per un effetto chimico detto “catalisi”, a contatto con il gas, il platino diventa incandescente e accende uno stoppino imbevuto d’olio. Una volta chiuso l’ugello, l’idrogeno residuo, colmando l’ampolla, abbassa il livello dell’acido riportando all’asciutto il pezzo di zinco. In tal modo, l’accendino resta pronto per un nuovo soffio di idrogeno e una nuova fiamma. Niente elettricità, niente pietre focaie: solo pura chimica, per un’infinità di accensioni.

Di queste lampade sono conservati due soli esemplari conosciuti: uno al Deutsches Museum di Monaco e l’altro presso l’Apotheke (antica farmacia) del castello di Heidelberg. Il secondo è particolarmente simile all’esemplare romano, anche se il vaso è dipinto con motivi decorativi.

Conosciuto principalmente per il lavoro che abbozzò la legge periodica degli elementi chimici, Johann Wolfgang Döbereiner (1780-1849) fu un illustre scienziato tedesco, ma era nato povero, figlio di un cocchiere, così dovette studiare da solo, come allievo di un farmacista. Nel 1810 era però giunto ad essere professore all’Università di Jena e fra i suoi allievi – e amici – c’era nientemeno che Goethe (1749-1832), il quale si ispirò alle sue teorie sulle affinità degli elementi per tessere la trama del famosissimo Le affinità elettive (1809).

Nel romanzo, infatti, gli sposi Edoardo e Carlotta, trovandosi a convivere con un grande amico di lui (il Capitano) e con la nipote di lei (Ottilia), vanno incontro al disfacimento della propria relazione e alla formazione di due nuove coppie, e Goethe dedica un intero capitolo alla “descrizione chimica“ di ciò che sarebbe successo quando l’elemento C, il Capitano, si sarebbe unito all’elemento B, Edoardo, lasciando così l’elemento A, Carlotta, da solo.

Dal Museo di Alessandro Cruto, l’inventore italiano della lampadina di cui abbiamo già scritto, ci confermano che la lampada di Döbereiner resistette per decenni nonostante l’invenzione dei fiammiferi. I primi furono del 1827, inventati dall’inglese John Walker, ma per lungo tempo rimasero pericolosi e inaffidabili, talvolta addirittura proibiti, dato che il fosforo bianco con cui erano fabbricati si accendeva da solo, all’aria, o in modo “esplosivo”.

Tuttavia, al di là della mera efficienza: volete mettere quanto è più chic una fiamma generata dal platino piuttosto che da un bastoncino di legno?

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