
di Cosimo
Ceccuti
Il 13 settembre 1958 Giovanni Spadolini, direttore del Resto del Carlino, pubblicò l’articolo di fondo dal titolo “Il Tevere più largo“: espressione entrata poi nel linguaggio comune a significare la distensione nei rapporti fra Italia e Santa Sede. Spadolini colse per primo il profondo cambiamento rappresentato da Giovanni XXIII, eletto Papa da appena due settimane.
A differenza dei suoi predecessori infatti Papa Roncalli aveva risposto al messaggio augurale di Olindo Malagodi, segretario nazionale del Partito liberale, il partito di Porta Pia, benedicendo il Risorgimento cui andava il merito di avere affrancato la Chiesa dalle preoccupazioni del "potere temporale".
Nel 1967 il direttore del Carlino avrebbe raccolto i suoi scritti sui rapporti fra Chiesa e Stato in un libro dallo stesso titolo, Il Tevere più largo: quasi cento anni di complesse relazioni, dal Sillabo di Pio IX – ovvero la condanna dei princìpi del liberalismo su cui si fondano gli Stati moderni – a Paolo VI.
Un libro da tempo introvabile, riproposto oggi dall’editore milanese Luni nella prima parte del volume di Giovanni Spadolini Chiesa e Democrazia: la seconda parte ne rappresenta la continuazione, da Montini a Wojtyla, coi momenti di incontro o di scontro fra Chiesa e Stato fino alla revisione del Concordato, cui l’autore ha contribuito in modo determinante, avviando a conclusione le laboriose trattative negli anni in cui era alla guida del governo, fra 1981 e 1982.
Libro postumo costruito secondo un preciso schema disegnato dallo stesso Spadolini che aveva scelto pure il titolo e indicato la copertina: l’immagine dell’accoglienza da ministro della Difesa di Giovanni Paolo II in visita alla Scuola militare alpina ad Aosta, il 7 settembre 1986. Il volume dato in dono al Santo Padre è L’idea d’Europa, punto di incontro fra laici e cattolici, l’Europa di Erasmo da Rotterdam e di Voltaire, l’Europa del dialogo, della tolleranza, della fede e della ragione.
La continuità della “svolta“ di Giovanni XXIII è colta da Spadolini con l’elezione di Papa Luciani, "un pastore di anime con venature parrocchiali", di una semplicità disarmante, sincera e schietta, aliena da ogni forma di protocollo o di inquadramento formalistico, il cui pur brevissimo pontificato, avrebbe segnato un solco tutto spirituale nel cammino della Chiesa.
Il suo successore, il cardinale Karol Wojtyla, gli appariva fin da subito "un Luciani più colto e soprattutto un Luciani polacco". Altrettanto rigido nelle rivendicazioni delle pregiudiziali dottrinali, altrettanto aperto sul terreno del riformismo sociale, ma fermo nel rispetto della tradizione, nella fedeltà al messaggio conciliare come il patriarca di Venezia.
Pontefice non italiano, portato a sentire i rapporti con l’altra riva del Tevere senza le tensioni e le contraddizioni dei Papi dopo Porta Pia. “Dc senza Papa“: è il titolo di una delle riflessioni spadoliniane sull’antico vescovo di Cracovia, a sottolineare il suo distacco dalle vicende politiche di casa nostra. "Nessun esponente della politica italiana – sono parole di Spadolini del 17 ottobre 1978 – neanche di matrice cattolica, potrebbe pensare di scaricare sul Vaticano le scelte che fosse incapace in un senso o nell’altro di compiere. Una certa epoca della storia italiana comunque è finita". Il lungo pontificato di Giovanni Paolo II gli avrebbe dato ragione.