Giovedì 18 Aprile 2024

Il poeta maledetto che cercava l’assoluto

Duecento anni fa nasceva Charles Baudelaire. Sconvolse la Parigi dei benpensanti lasciando un segno indelebile nella letteratura

di Davide Rondoni

"Io ti adoro come la volta notturna, o vaso di malinconia, grande taciturna". La sua tomba bianca, minuscola è coperta di baci a Montparnasse. Poco lontano Napoleone dorme in uno stupido sarcofago egizio, in un grande vuoto. Baudelaire nasce poco prima che l’imperatore muoia. Il 9 aprile del 1821 nasce da una donna sfortunata e amatissima, presto vedova e risposata con un militare che divenne senatore e che il figliastro odiò per tutta la vita. È sepolto insieme a lui, segno di un destino beffardo.

Lo stesso destino (in realtà una volontà cimiteriale, una scelta di becchini) che ha disposto che su Baudelaire scattasse e si replicasse infinitamente fino alle nebbiose e noiose ore di letteratura nelle nostre scuole patrie, la nomea malintesa di "maledetto". Così da bloccare per sempre, con un epiteto tanto evocativo quanto mai visto in profondità, la eversione di questo poeta rispetto ai dettami della società e della cultura del suo tempo, che sono quelli, borghesi, naturalisti e tecnicisti, che dominano ora in modo pervasivo l’epoca nostra.

Se chiedete a un ragazzo qualsiasi di una scuola italiana che abbia avuto la ventura di vedersi offerto Baudelaire – poeta che ha influenzato la miglior poesia italiana, da Montale a Campana a Caproni – vi dirà: era maledetto perché fumava oppio, frequentava prostitute, ebbe censure. In più forse che ha tolto la corona d’alloro al poeta e ha ritratto la metropoli.

Tutto qui? Maledetto perché era un tipo un po’ eccentrico, scialacquatore dedito a qualche vizio? Fesserie. E poi lui le prostitute le amava – quante contesse o moglie di banchieri si sognano le poesie da lui dedicate a Jeanne Duval!

Forse la maledizione sta altrove. Come etichettare uno che pianta "fiori del male" nella Parigi dei benpensanti, dei naturalisti, dell’umanitarismo dei Voltaire ("filosofo da portinaie", lo chiama) insomma dove il male sembra un problema superato, una stortura sociale da correggere, uno piccolo screzio all’armonia naturale?

Come denominare un poeta prodigioso e contraddittorio nell’epoca che non sopporta paradossi, pronta allora come oggi a elaborare nuove buonissime filosofie naturaliste – vedete? È spuntato il Dio Pianeta. Come addomesticare il poeta squattrinato e sovrano, libero e irriverente, cristiano e bestemmiatore, uno che dice di aver imparato a pensare da E. A. Poe e da De Maistre, lo scrittore del nero grottesco e il filosofo politico cattolico controrivoluzionario? Si dice maledetto, ma assottigliando questa maledizione come se fosse una banale dissolutezza morale. Lo si fa passare per un eccentrico, un provocatore, si direbbe oggi.

Con l’epiteto "maledetti" furon chiamati, in una antologia redatta da un altro grande poeta, Paul Verlaine, i poeti che da lui furono segnati, tra cui Rimbaud, Corbière e la Desbordes-Valmore. Verlaine spiega in cosa stia la "maledizione": sono poeti "assoluti" cioè che non negano "l’assoluto". Nelle poesie di Baudelaire (L’uomo e il mare; L’albatros; I fari; A una passante) l’uomo è abitato da un assoluto e da un combattimento che nessuna ideologia, nessuna religione formalisticamente vissuta, o scienza o idea politica possono negare e risolvere.

Per questo, la società della borghesia e delle passioni tristi lo maledissero. Ieri, e oggi. In lui la verità brucia.

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