Giovedì 18 Aprile 2024

"Il nostro Memento mori, pensando a Fletch"

Per i Depeche Mode un nuovo album e un tour a sei mesi dalla morte di Andy. Dave Gahan: "Proseguiamo. Lui avrebbe voluto così"

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di Andrea Spinelli

Era il 1996 quando al Sunset Marquis Hotel di Los Angeles un’overdose di Speedball mandò al creatore Dave Gahan. Sì, proprio all’altro mondo. Il cuore del frontman dei Depeche Mode, infatti, si fermò per due minuti e con lui l’epopea di Just can’t get enough. Ci vollero tre massaggi cardiaci e una buona dose di fortuna per riportarlo tra i vivi, ma quell’incidente gli cambiò la vita, allontanandolo per sempre dalle sostanze. Così fa un certo effetto ritrovarselo oggi dall’altra parte del video a presentare, in collegamento da Berlino vestito come un manager della City (giacca di gran taglio e pochette d’ordinanza inclusa), un album dal titolo sibillino come Memento mori.

"Quel giorno per 120 interminabili secondi la storia dei Depeche Mode è finita" ricorda ancora oggi il sodale Martin Gore parlando della morte e resurrezione dell’amico. Lo stesso meccanismo non è scattato nei Depeche Mode quando, sei mesi fa, il destino s’è preso senza avvisare Andy Fletcher, deceduto per una dissezione aortica, terza anima del gruppo che questo quindicesimo album in studio, sul mercato a marzo, evoca dalla prima all’ultima nota nell’attesa di farlo sui palchi con l’imponente tour mondiale in arrivo pure a Roma il 12 luglio, Milano il 14 e Bologna il 16. Si parte da Sacramento, in California, il 23 marzo.

Gahan, perché avete deciso di andare avanti comunque?

"Perché io e Martin siamo certi che Andy avrebbe voluto così. Durante il lockdown abbiamo lavorato tutti e tre a questo disco e tanto il nome che il repertorio erano stati decisi prima della sua morte. E poi Fletcher ha sempre rappresentato il collante della band, quindi è impensabile che ne potesse causare proprio lui la dissoluzione".

Certo, quel Memento mori…

"Il titolo latino ce l’ha suggerito un amico comune e, dopo quello che è successo, capisco possa suonare sinistro. Ma inviterei ad interpretarlo in maniera positiva, tipo: vivi al massimo ogni giorno della tua vita, perché un giorno, più tardi possibile, finirà".

Che cosa le manca più di “Fletch”?

"L’ironia e la voglia di scherzare. Qualità che, quando era in vita, davo quasi per scontate e invece ora l’assenza ha ingigantito. È stato strano. Qui a Berlino, passare dal bar dell’albergo in cui alloggiamo abitualmente, e vedere il posto che Andy occupava di solito, vuoto. Ora non ci resta che abbassare la testa e fare il meglio che possiamo".

L’omaggerete in concerto?

"Non so, ma di certo sarà lì sul palco con noi. A farci da spirito-guida. Per me l’album ha una visione cinematografica, ti porta in un piccolo viaggio, spingendoti a dire ‘questo è il mio mondo’ e a riflettere ‘come posso viverlo al meglio?"

Sa che poco più di un mese fa, a Milano, ha preso fuoco il palazzo in via Quintiliano dove un tempo si trovavano quei Logic Studios in cui avete inciso Violator?

"L’ho saputo. Terribile. Ricordo ancora il divertimento di quelle registrazioni e le giornate passate con Pino (‘Pinaxa’ Pischetola - ndr) tecnico del suono".

Nel nuovo album c’è un po’ di Italia, perché è stato coprodotto dall’italiana Marta Salogni.

"Ho lavorato con lei nel disco dei SoulSavers e per una serie di coincidenze James Ford, nostro produttore abituale è riuscito a coinvolgerla pure in questo. E io non mi sono certo opposto, perché so che porta idee interessanti, fresche, e ha una visione capace di far emergere l’identità Depeche nel migliore dei modi".

Il riff di Personal Jesus è uno dei più citati del mondo del pop, quest’anno pure a Sanremo in Insuperabile di Rkomi. Ma a voi la cosa diverte o no?

"Non ci poniamo certi problemi, pure noi a nostra volta forse l’abbiamo ripreso da qualcuno rielaborandolo poi come meglio ci veniva. Alla fine, la musica è fatta così".

Sorpreso dal trovare una band italiana come i Måneskin ai piani alti delle classifiche?

"Effettivamente è singolare, ma conosco troppo poco la loro musica per esprimere un giudizio".

Avete un grosso seguito in Russia e Ucraina, ma stavolta niente concerti.

"Non è facile salire sul palco di questi tempi. E lo è ancora meno pensare che non sono bastate due guerre mondiali a farci imparare la lezione".

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