Mercoledì 24 Aprile 2024

Il “nostro generale“ che sconfisse le Br

Arriva la serie tv con Castellitto su Dalla Chiesa e la sua lotta al terrorismo. La figlia Rita: "Vorrei incontrare il pentito Patrizio Peci"

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di Beatrice Bertuccioli

Non si studiano a scuola, ma sono pagine della vita del paese da non dimenticare. Come le vicende drammatiche legate al terrorismo, con la loro scia di violenza e lutti. Vuole assolvere a questo compito la serie Il nostro generale, anche rendendo omaggio al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, assassinato quarant’anni fa da Cosa Nostra, a Palermo, il 3 settembre 1982, insieme alla seconda moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo. Perché Dalla Chiesa viene sempre ricordato per la sua lotta alla mafia, ma la sua azione è stata fondamentale anche nella guerra alle Brigate Rosse, per contrastare le quali creò il Nucleo speciale antiterrorismo. E su questo è incentrata la serie con Sergio Castellitto protagonista, regia di Lucio Pellegrini, in onda in prima serata su Raiuno il 9, 10, 16 e 17 gennaio. "Ricostruiamo dieci anni di una guerra civile – spiega Pellegrini – che tutti noi più adulti abbiamo vissuto. Mi piaceva provare a restituire quella sensazione di tensione e paura che io, seppure ragazzino, avvertivo intorno a me, che abitavo nel triangolo industriale. Li ho respirati quegli anni".

Una ricostruzione attenta di quel periodo e di quelle vicende, girata nei luoghi reali dove quei fatti sono avvenuti, e a cui ha collaborato Rita Dalla Chiesa. "Noi figli abbiamo avuto un papà molto presente e mia madre un marito innamoratissimo. Papà e mamma hanno vissuto questo grandissimo amore – ricorda Rita Dalla Chiesa – da quando si sono conosciuti, e avevano diciotto anni lui e quindici lei. Mamma è stata il fulcro della vita di papà e la sua cassaforte: le raccontava qualunque cosa perché sapeva di potersi fidare di lei ciecamente". Ricorda Castellitto: "Io ero un ragazzo di trent’anni che frequentava l’Accademia d’arte drammatica e, a fronte di altri giovani che si sono perduti nei rivoli di questa terribile ideologia, sono stato salvato da Cechov e da Shakespeare".

E su Dalla Chiesa: "Ha vissuto tutta la vita con una uniforme addosso, e è stato sempre in guerra: la Seconda guerra mondiale, poi la Resistenza, poi al sud a combattere il banditismo, poi mandato al nord a combattere le Brigate Rosse e poi di nuovo al sud, e si sa com’è andata a finire. Eppure sostanzialmente era un uomo di pace, legato a valori come onestà, senso del dovere, abnegazione".

Per Rita, Nando e Simona, prima di tutto un padre. "Di papà ricordo la grande lealtà, il rispetto a cui ci ha abituati nei confronti di chiunque. La trasparenza delle sue azioni – racconta Rita Dalla Chiesa – e l’amore infinito che aveva per i suoi ragazzi, tutti i carabinieri, ma in particolare quelli del Nucleo anti terrorismo. Per lui erano come figli, E, sembrerà paradossale, ma aveva un rapporto come tra padre e figlio anche Patrizio Peci (il primo pentito delle Brigate Rosse a collaborare con lo Stato grazie alle informazioni che fornì al generale Dalla Chiesa, ndr), un brigatista che in carcere voleva parlare solo con mio padre perché solo con lui riusciva a tirare fuori i motivi per cui era arrivato alla lotta armata".

Ma nessuna gelosia di figlia, anzi. "È stata una cosa bellissima. E prima o poi vorrei incontrare Patrizio Peci per capire – dice Rita Dalla Chiesa – e, sembrerà strano, ringraziare quel ragazzo che si è fidato di mio padre in un momento di grande paura, di grande tensione sociale. Perché erano ragazzi esattamente come i carabinieri del Nucleo antiterrorismo che li combattevano".

Ragazzi, questi ultimi che, ventenni, erano stati chiamati a un grande sacrificio: abbandonare fidanzata, famiglia, rinunciare perfino al proprio nome. "Li conoscevo e ancora continuo a conoscerli – spiega Rita Dalla Chiesa – soltanto con i loro soprannomi. Per me Trucido, è ancora Trucido, non so quale sia il suo vero nome. E voglio ringraziare tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione di questa serie perché hanno dato finalmente visibilità agli invisibili".

Ricorda Nando Dalla Chiesa: "Una volta, durante l’ultima vacanza, vedendo la difficoltà che aveva ad ottenere sostegno dal governo e dai partiti politici, ho chiesto a mio padre, ‘ma chi te lo fa fare a stare ancora a Palermo?’. E lui mi ha risposto: ‘perché c’è tanta gente onesta che ha fiducia in me. E perché ci sono cose che si fanno, non per coraggio, ma per guardare serenamente negli occhi i propri figli’".

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