Mercoledì 24 Aprile 2024

Il Nobel che sferzava il Giappone Addio Oe, scrittore contro l’atomica

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Kenzaburo Oe può essere definito uno scrittore della sofferenza umana – sofferenza personale ma anche collettiva – eppure chi lo ha conosciuto dice che era un uomo piacevole e allegro, diverso dalla sua immagine pubblica, così seriosa e afflitta. Oe si è spento all’età di 88 anni il 3 marzo scorso, ma la notizia si è diffusa solo ieri, a funerali già avvenuti. Nel 1994, quando vinse il premio Nobel per la letteratura, secondo scrittore giapponese dopo Kawabata Yasunari (1968), tenne un ispirato discorso a Stoccolma, citando il suo predecessore, scrittore molto legato alla tradizione letteraria nipponica, che aveva intitolato il suo intervento Io e il mio bel Giappone; Oe, all’opposto, intitolò il suo Io e il mio ambiguo Giappone. Ambiguo per il rapporto fra tradizione e sfrenata modernizzazione ("una sorta di malattia cronica") e per il contrasto fra la consapevolezza di appartenere "a una nazione che in un passato recente ha calpestato la coscienza umana, in nome del fanatismo distruttore" e il riapparire di pulsioni nazionaliste e belliciste, dopo la rinascita del paese avvenuta ponendo "come basi morali del nuovo cittadino l’istanza democratica e l’opposizione a ogni guerra".

Lettore onnivoro, appassionato di Dante, della letteratura europea e anche di quella sudamericana, Oe è stato uno scrittore scomodo, un critico tenace delle politiche di potenza (rifiutò un’importante onorificenza conferita dall’imperatore), un pacifista inflessibile. Il suo reportage Note su Hiroshima, del 1965, è una delle più alte e intense testimonianze contro la guerra e il riarmo. Anche i suoi interventi dopo il disastro alla centrale nucleare di Fukushima, nel 2011, restano memorabili.

La sofferenza collettiva della guerra, che traspare in molti suoi romanzi, non è stata meno importante, nella sua visione di uomo e scrittore, della sofferenza individuale, a partire dalla sua stessa esperienza di padre di un bambino nato nel ’63 con una grave menomazione cerebrale. Nel romanzo Un’esperienza personale, il suo doppio, protagonista della storia, immagina di uccidere il figlio neonato, affetto da una grave patologia e subito in bilico fra la vita e la morte. Altro tema ricorrente dei suoi romanzi è il suicidio, conosciuto anch’esso in famiglia. Eppure Oe, nello stesso discorso di Stoccolma, ricorda il percorso del figlio Hikari, che a sei anni dice le sue prime parole, ascoltando il canto di una coppia di uccelli: "Sono porciglioni", indicando con precisione la specie. Hikari è poi passato dal canto degli uccelli, suo tramite col mondo, a Bach e Mozart, divenendo a sua volta compositore. Per Oe un grande insegnamento.

"Aspiro a farmi carico con dolore – disse in chiusura a Stoccolma – delle sofferenze accumulate nel XX secolo a causa di una mostruosa espansione della tecnologia (...) e vorrei (...) offrire un contributo alla riconciliazione dell’intero genere umano".

Lorenzo Guadagnucci

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