Martedì 23 Aprile 2024

"Il mio Lockdown dà speranza al cinema"

Arriva la prima opera da regista di Enrico Vanzina: "È una commedia per non dimenticare. E per riportare la gente nelle sale"

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di Beatrice Bertuccioli

Non è riuscito al kolossal di Nolan e nemmeno alle opere di Venezia. Nessun film è stato in grado finora di riportare molta gente al cinema. In Italia, come all’estero, gli spettatori scarseggiano e gli incassi languono. Timori del contagio, certo, ma chissà che non dipenda anche da titoli forse di scarso appeal per il grande pubblico. Chissà. Si potrà fare presto la controprova perché sta per approdare nelle sale uno di quei film di fronte ai quali i critici storcono il naso ma che il pubblico ama, desideroso com’è di farsi qualche risata, e pazienza se non è un cult da storia del cinema. In questo senso la firma Vanzina è una garanzia. E allora chissà che l’impresa non riesca a Lockdown all’italiana, dal 15 ottobre in oltre 350 sale, film con cui Enrico Vanzina a 71 anni debutta nella regia, dopo una carriera come sceneggiatore lunga un centinaio di film.

È la storia di due coppie che sono sul punto di separarsi quando il lockdown le costringe a continuare a vivere nella stessa casa. Ezio Greggio è un avvocato benestante sposato con Paola Minaccioni e amante dell’avvenente commessa di supermercato Martina Stella, sposata con il tassista Ricky Memphis. Una commedia che vuole divertire, con bugie e tradimenti, ma anche una vena amara, sorretta da un cast di attori brillanti impegnati a dare il massimo.

Vanzina, dopo due lavori per Netflix, come mai torna al cinema proprio ora?

"Con Giampaolo Letta, amministratore delegato di Medusa, abbiamo da subito detto: portiamolo nelle sale. Poi, certo, abbiamo avuto dei momenti di disperazione e anche ora, alla vigilia dell’uscita, non nascondo di avere una certa ansia. Ma dobbiamo dare un segnale, dire alla gente di andare al cinema, perché i cinema sono tra i luoghi più sicuri. Bisogna far ripartire il cinema e non rischiare che chiudano, significherebbe spegnere il cervello di migliaia di persone".

Una commedia nella tradizione di famiglia, di suo padre Steno e di suo fratello Carlo?

"Me lo auguro. Una commedia semplice, fatta in pochi giorni e con un piccolo budget, ma una vera commedia all’italiana. Ho scritto il film durante il lockdown, in una ventina di giorni. Abito in centro e vedevo una Roma deserta, spettrale, magnifica. Capisco che si tratta di una sorta di chiamata che mi arriva dal cielo. Perché si presentava un’occasione irripetibile di realizzare una vera commedia all’italiana, ovvero con un piccolo gruppo di personaggi che si trovano sotto la cappa di una tragedia molto più grande di loro, che neanche capiscono".

Il personaggio di Greggio rivendica il diritto a essere felice.

"È un film che parla della ricerca della felicità di quattro personaggi negativi che si arrabattano in questo tentativo. All’inizio del film cito una frase di Prévert: “Bisogna tentare di essere felici, se non altro per dare il buon esempio”. Un film per non dimenticare, ma facendolo in maniera spiritosa, e per lanciare un segnale di speranza. E per questo credo che ora, chi mi ha attaccato sui social dopo avere visto solo la locandina, dovrebbe cospargersi il capo di cenere".

Com’è stato il debutto dietro alla macchina da presa?

"Mi avevano offerto di curare una regia già nel 1977, ma c’erano papà e mio fratello e ho risposto di no. Questa volta mi sono detto la faccio, perché la sceneggiatura è la cosa più importante ed è uno di quei film in cui il regista deve scomparire, e lasciare spazio agli attori. Se fossi un esordiente di 26 anni, chiederei un po’ di clemenza. Credo di avere fatto un film onesto, adattandomi alla situazione, forse stabilendo il record del film italiano realizzato in meno giorni: non sempre occorrono 26 settimane e troupe monstre".

Le è capitato di pensare a come avrebbero girato suo padre e suo fratello?

"Una volta, quando non sapevo come girare una scena di sesso. E adesso, alla vigilia dell’arrivo in sala, mi sono rivolto a mio fratello e gli ho detto: Carlo, ma avrò fatto bene a fare questo film? Credo di potere interpretare la sua risposta come un silenzio assenso".

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