Martedì 16 Aprile 2024

Il matematico napoletano che girava con un gallo

La figura affascinante e irregolare di Renato Caccioppoli, “nipote“ dell’anarchico Bakunin. Trent’anni fa il film di Mario Martone

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di Lorenzo Guadagnucci

Chi, più di altri, seppe cogliere l’essenza di Renato Caccioppoli fu André Gide. Si incontrarono nell’agosto del 1937 a Villa La Rufola a Sorrento, nel salotto della marchesa Giuliana Benzoni. La figura di Renato – magrissimo, emaciato, con qualcosa di febbrile e disperato nel volto – colpì immediatamente Gide: parlarono tutta la sera, anche di fascismo e socialismo, secondo i rapporti di polizia sull’incontro fra uno scrittore famoso ma considerato fervente comunista (all’Ovra non dovevano leggere granché e nulla sapevano del Retour de l’Urss uscito l’anno prima, reportage sugli orrori e non sulle glorie scoperte nella patria del socialismo reale) e un giovane professore di matematica considerato geniale ma avverso al regime e perciò finito sotto sorveglianza. Ebbene, Gide quella sera stessa dirà a un amico italiano: "Ah! Questo uomo, così giovane. Vi ringrazio di avermelo fatto conoscere. È un’anima".

Proprio così, Renato Caccioppoli era un’anima; un’anima spesso in pena, che si sentiva quasi ovunque fuori posto, preda di angosce e di ossessioni. Un’anima inquieta nella quale si specchia tuttora una certa idea di napoletanità. Proprio trent’anni fa, nel suo primo film da regista, Mario Martone affidò a Carlo Cecchi il ruolo del protagonista nel suo Morte di un matematico napoletano, ed è difficile, per chi abbia visto quel film, scindere l’immagine di Caccioppoli dal volto sofferente e fiero dell’attore fiorentino.

Renato Caccioppoli non è entrato nei libri di storia, ma la sua figura ha segnato l’immaginario napoletano, come Martone e la co-sceneggiatrice Fabrizia Ramondino riuscirono a far intuire, navigando fra aneddoti e leggende per mettere a fuoco un personaggio unico e sfuggente, un uomo tormentato che fu un genio della matematica ma anche un disadattato, spesso ubriaco e più volte sorpreso a fare l’accattone; un intellettuale anticonformista vicino ma non organico al Partito comunista, forse per la vena anarchica ereditata dal nonno Michail Bakunin.

Lorenza Foschini, che di Caccioppoli è parente, ha indagato con cura familiare e piglio da cronista sul cugino matematico in un libro – L’attrito della vita (La nave di Teseo) – che riporta, fra molti altri aneddoti e documenti, la vera storia di “nonno“ Bakunin, nonno fra virgolette perché il padre biologico dei tre figli avuti dalla moglie di Bakunin, Antonia Kwiatkowska, non fu il rivoluzionario russo, bensì l’avvocato napoletano Carlo Gambuzzi, anche lui anarchico nonché amante di Antonia. Michail, che tutto sapeva, riconobbe come suoi Carlo, Giulia Sofia (madre di Renato) e Maria, e alla sua morte, nel 1876, Gambuzzi e la vedova Bakunin finirono per sposarsi. I discendenti, così racconta Foschini, non accettarono mai questa verità (raccontata per lettera a un amico dallo stesso Bakunin), preferendo considerarsi figli e nipoti di Michail, quali del resto erano, almeno sul piano legale e affettivo, se non biologico.

C’è qualcosa, in questo puntiglio familiare più romantico che razionale, degno di Renato, un uomo che ha incrociato l’accademia, l’élite politica e intellettuale del suo tempo restando sempre sé stesso, cioè un irregolare, un insofferente alle convenzioni, un uomo così infastidito dal servilismo e dalla mediocrità da definire “morti viventi“ gli appartenenti al ceto borghese, al quale per censo e posizione sociale – ma non per spirito – lui stesso apparteneva. Si spiegano così – un misto di inquietudine e disperazione – le sue stravaganze: l’abuso di alcol e il gallo portato beffardamente a passeggio per via Chiaia; il pianoforte come rifugio, suonato anche a notte fonda e perfino nei giorni trascorsi in manicomio, dove fu internato dopo una baruffa in trattoria con un manipolo fascista; l’unione appassionata con Sara Mancuso, donna libera e “scandalosa“, che poi lo lascerà per unirsi a Mario Alicata, potente dirigente del Pci.

Si racconta che all’università le sue lezioni non durassero più di 25 minuti, tanto erano dense e originali, e che fosse temutissimo agli esami per la sua imprevedibilità: una volta disse a una studentessa di tracciare una linea retta alla lavagna e la ragazza intimorita non osò fermarsi al bordo, proseguì sul muro e poi fino alla porta, finché il professore – non cattivo, ma... originale – non la invitò ad andare oltre: “Ecco, brava, vada vada, esca e torni un’altra volta“.

Caccioppoli fu amato e ammirato (soprattutto dalle donne) ma anche incompreso e sempre perseguitato: il fascismo lo considerava un avversario e anche nel dopoguerra fu sorvegliato e più volte privato del passaporto. Si tolse la vita nel ’59, a 55 anni, sparandosi un colpo alla nuca nella sua casa di Palazzo Cellammare.

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