Mercoledì 24 Aprile 2024

Il guerrigliero che rivoluzionò (solo) l’editoria

Cinquant’anni fa moriva vittima di un suo stesso ordigno Giangiacomo Feltrinelli, imprenditore di successo con l’ansia di abbattere il capitalismo

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di Lorenzo Guadagnucci

Un uomo ricchissimo e viziato. Un geniale imprenditore. Un visionario un po’ pazzo che giocava a fare la rivoluzione. Tutto in un’unica persona. La vita, l’opera e il lascito di Giangiacomo Feltrinelli – il "milionario Giangi" dei primi, stupiti rapporti di polizia sul conto di quello strano militante comunista – si possono capire solo rinunciando alle semplificazioni. È certo che ha lasciato un segno profondo nella cultura italiana e – per certi versi – anche nella storia politica del Paese. Morì accidentalmente, a 45 anni, mentre piazzava esplosivi su un traliccio di Segrate: doveva essere un’azione dimostrativa, un atto di sabotaggio in giorni che gli parevano caldissimi per la “rivoluzione italiana“ o almeno per la lotta contro la svolta autoritaria che credeva imminente. Era il 14 marzo 1972, cinquant’anni fa.

Carlo Feltrinelli, il figlio nato nel 1962 e che Giangiacomo aiutò a crescere come meglio poteva dalla clandestinità scelta fin dal ’69 (all’indomani della strage di piazza Fontana), descrive così la personalità del padre in Senior Service, la biografia che gli ha dedicato nel ’99 e che ora torna in una nuova edizione: "Mosso da un particolarissimo radar, si presenta scostante o accattivante, brusco o gentilissimo. Con tutti, e senza pregiudizio. Questa libertà nei rapporti gli permette di chiamarsi “ricco“ nel senso più vero, senza vincolo di classe".

La sua classe d’origine era la più agiata: una famiglia di industriali e finanzieri fra le più ricche d’Italia, il padre Carlo presidente, fra molte altre cose, di Edison e Credito Italiano. Carlo senior morì nel 1935, a 54 anni, lasciando agli eredi una fortuna. La moglie Giannalisa Gianzana si sarebbe risposata con una celebrità del giornalismo italiano, Luigi Barzini junior, che mai s’intese (per usare un eufemismo) con quel figliastro così vitale e così imprevedibile: pare che una volta – era il ’66 – si incrociarono per caso in una via di New York e finsero di non vedersi...

Classe agiatissima dunque, ma iscritto al Pci fin dal 1945, a guerra ancora in corso. Scrisse di sé, Giangiacomo, nella scheda richiesta dal partito: "Nel 1936 mia madre acquistò un grande giardino al cui riadattamento lavorarono per alcuni anni operai, manovali e contadini. Io divenni ben presto amico di questi operai e manovali e così per la prima volta venni a conoscenza di un altro mondo, che non era quello dorato in cui vivevo". Tutto il resto ne sarebbe stato conseguenza: l’incontro fra il “mondo dorato“ delle origini e la classe operaia ai suoi occhi protesa verso una rivoluzione, è stata la cifra umana, politica e imprenditoriale di Giangiacomo Feltrinelli.

Quando fondò la casa editrice, nel 1955, intese modernizzare la cultura italiana: da buon imprenditore aveva dimestichezza coi conti, gli organigrammi, la gestione manageriale; vi aggiunse una visione del tutto originale, aperta al mondo, in senso geografico e politico, e senza pregiudizio alcuno.

I primi libri pubblicati furono Il flagello della svastica di Lord Russell di Liverpool (tradotto da Luciano Bianciardi) e la Autobiografia del leader indiano Jawaharlal Nehru. Di lì a poco avrebbe piazzato colpi editoriali passati alla storia: Il dottor Živago di Boris Pasternak, portato in Italia nel ’57 schivando la censura di Mosca e i dubbi del Pci, dal quale aveva cominciato a sganciarsi dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria (1956), e Il Gattopardo, uscito nel 1958, romanzo a prima vista “di destra“ e firmato da uno sconosciuto autore (Tomasi di Lampedusa).

Feltrinelli fu un grande innovatore editoriale. Capì di doversi occupare di tutta la filiera del libro, comprese distribuzione e vendita. Inventò un modo di gestire le librerie, all’epoca rivoluzionario, con le copertine in bella vista e non di costa, i volumi a portata di mano, le promozioni e gli sconti, la fiducia nel ruolo dei librai (da formare in apposite scuole, secondo la sua visione). Credeva nei libri e nella necessità di renderli accessibili: quindi priorità ai tascabili e impegno per la riduzione del tempo di lavoro (per dare alla gente più tempo per leggere).

Luciano Bianciardi, che alla Feltrinelli resistette poco, diceva (come altri) che Giangiacomo era "ignorante come un tacco di frate", ma parlava quattro lingue, aveva contatti in mezzo mondo, e fu un editore di enorme successo, grazie – anche – alla qualità dei collaboratori che aveva scelto. Il catalogo dell’editore parla da sé: alla Feltrinelli si deve un’importante opera di sprovincializzazione della cultura italiana.

Nel catalogo ci sono anche ampie tracce del suo impeto rivoluzionario: dai saggi di suo pugno sulla necessità della guerriglia, a quelli sull’Africa e l’America Latina, fino ai celebri Diari di Bolivia del Che Guevara, consegnati a Giangiacomo da Fidel Castro, ormai un amico dopo gli interminabili incontri all’Avana in vista di un libro di memorie del lider maximo mai portato a termine.

La rivoluzione sognata da Feltrinelli è finita come sappiamo, sotto un traliccio di Segrate, ma se l’Italia è cambiata e si è aperta al mondo a partire dai difficili anni Cinquanta è anche grazie al "milionario Giangi" che non smise mai di stupire i “questurini“ e i benpensanti di tutt’Italia.

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