Mercoledì 24 Aprile 2024

Il fiore nero che ha reso eterna la chanson

Juliette Gréco morta a 93 anni. Fu l’icona della canzone francese. Musa dell’esistenzialismo, diede scandalo col suo spirito libero

di Giovanni Serafini

"Non fatemi una statua quando morirò. Le statue servono solo ai cani che ci vanno a far pipì" … C’è tutta Juliette Gréco in questa frase che mi lasciò di stucco quando la incontrai l’ultima volta, nel 2016: aveva 89 anni e si era lanciata in una nuova tournée canora, subito interrotta dalla malattia. Adesso Juliette non c’è più: la musa degli esistenzialisti, la grande provocatrice, il “fiore nero” che incantò i giovani di Saint-Germain-des-Près, è morta ieri nella sua adorata casa di Ramatuelle, nel sud della Francia, assistita dai familiari.

Era rimasta solo lei di quell’incredibile Parigi dei primi anni Cinquanta, approdo di artisti e intellettuali venuti da tutto il mondo: inalterabile come lo champagne e lo Chanel numero 5, sempre uguale a se stessa, capelli neri, voce roca, ciglia esaltate da un rimmel troppo denso. I suoi amici di quell’epoca fastosa - Breton e Cocteau, Eluard e Queneau, Sartre e Boris Vian, Prévert e Antonin Artaud, Max Ernst e Simone de Beauvoir - se ne sono andati uno dopo l’altro. L’ultimo è stato Michel Piccoli, il suo secondo marito: "Un tipo formidabile - mi raccontò - che seppe conquistarmi con il suo brio… Quando un uomo sa far ridere una donna, ha strada libera… Ci siamo separati dopo dieci anni, e siamo sempre rimasti amici".

Coraggiosa, spregiudicata, libera, è stata in tutto il mondo il simbolo e l’icona di un certo modo di essere francese e parigina: ha attraversato le mode e il tempo con lo stesso spirito ribelle di quando si faceva fotografare nuda a letto con la sua amica Annabel in una camera dell’Hotel Louisiana ("Macché nuda! Eravamo a letto insieme, ma vestitissime", obiettò con un sorriso malizioso).

Quando le feci i complimenti per la tenacia grazie alla quale aveva vinto tutte le battaglie di una vita complicata, replicò che non era vero: "Una battaglia, la più importante, l’ho persa per sempre: quella in difesa di Saint Germain. Il nemico ha travolto tutto, librerie e cabaret, i soldi hanno avuto la meglio sulla cultura, il profitto ha mortificato la civiltà della memoria. La mia Saint-Germain è invasa dai fast food e dalle vetrine degli stilisti: è irriconoscibile".

La “jolie mome”, la ragazzina vestita di nero che cantava nelle ‘caves’ sparse fra Notre-Dame e Montparnasse, aveva 17 anni quando, sotto lo sguardo divertito di Sartre e del filosofo Merleau-Ponty, iniziò a cantare al Tabou e alla Rose Rouge, i locali alla moda dell’immediato dopoguerra. Le dure esperienze dell’adolescenza l’avevano già corazzata spingendola a rifiutare qualsiasi conformismo.

Era nata il 7 febbraio 1927 a Montpellier. Suo padre era commissario di polizia, sua madre ufficiale della Marina. A 15 anni venne strappata al collegio delle suore e imprigionata per dieci giorni: la Gestapo aveva scoperto che sua madre e sua sorella erano impegnate nella Resistenza. L’una e l’altra finirono in un campo di concentramento ad Auschwitz, lei venne spedita invece in prigione per qualche settimana.

In seguito, nel periodo in cui Parigi chiedeva solo di rifarsi dopo gli orrori della guerra, conobbe le delizie di una vita da bohème: i caffè di Saint-Germain furono la sua scuola, i giovani artisti senza quattrini ma pieni d’immaginazione furono i suoi compagni di banco. Nel 1949 recitò in Orfeo di Cocteau, poi si mise a cantare e incise il primo album di canzoni, Sono come sono, con testi di Prévert.

Tra i suoi numerosi spasimanti ci fu anche il grande Miles Davis ("Juliette è stata la più grande passione della mia vita"). Si sposò tre volte, con Philippe Lemaire, Michel Piccoli e Gérard Jouannest.

Le sue canzoni - Les feuilles mortes e La Javanaise, Paris Canaille e Spogliami, Sous le ciel de Paris e La Chanson des vieux amants, firmate Gainsbourg, Ferré, Brel, Aznavour (tutti scomparsi anche loro) restano eterne.

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