Mercoledì 24 Aprile 2024

Il filo rosso dell’anima

Shel Shapiro, un talento fuori dal comune coltivato senza mai dimenticare l’interiorità. E nel backstage l’amico-genio Guido Harari

"Nel titolo c’è dell’ironia". British anche dopo sessant’anni di vita in Italia, Shel Shapiro sorride presentando l’album di inediti ’Quasi una leggenda’ con cui si riaffaccia alla produzione discografica dopo ’Love&Peace’ del 2018 in cui ha fatto coppia con Maurizio Vandelli per una compilation di cover e ’Acoustic Circus’ che risale addirittura al 2007 ed è stato l’ultimo di brani originali. Prima di questa uscita che mette insieme un monumento della musica con un mito della fotografia come Guido Harari, cinquant’anni passati a ritrarre spirito, slancio e utopia delle più grandi icone del nostro tempo. Il risultato sono tredici brani nuovi di zecca e un libro di 72 pagine con tredici scatti di Harari che ha curato anche la copertina del disco. "Sai quando l’ho conosciuto? A 12 anni si presentò a noi Rokes nel giardino di un albergo per chiederci un’intervista. Io gli dissi di sì e da quel momento diventammo amici".

Una parthership d’accezione per tornare alla discografia. Come mai tanta attesa?

"Non sono cose che si scelgono a tavolino. La vita ti presenta degli appuntamenti, li puoi prendere al volo o rimandarli. Quello con un nuovo album è stato rinviato a lungo, forse perché non avevo sufficienti canzoni che mi convincessero. Il lockdown ha aiutato perché lavorare è stato un antidoto alla disperazione ma nello stesso tempo la chiusura di alberghi e ristoranti, quando siamo andati a registrare a Como, ci ha fatto tornare ai sedici anni quando non sapevamo se avremmo trovato un hamburger da mangiare".

Che momento creativo fotografa? Ci sono molti riferimenti a Dio, a Gerusalemme, a una dimensione mistica e spirituale...

"Ma non è stata una ricerca del divino bensì di me stesso. Sono convinto che sia io l’artefice del mio destino, che nessuno possa manipolare la mia vita, che sia sbagliato adagiarsi nelle abitudini e dare sempre la colpa agli altri. Il brano ’Angeli devastati’ non si riferisce alle entità immateriali, pulite e pure, che immaginiamo. Nel mio immaginario è un angelo chiunque abbia cuore e anima per pensare al prossimo, quindi potenzialmente lo siamo tutti".

Molto stravaganti le featuring di Dori Ghezzi e Lina Sastri...

"Con Dori sono amico da 60 anni e alla mia età è necessario avere persone disponibili attorno. In più lei già qualche anno fa mi chiese di adattare in inglese dei brani di Fabrizio De Andrè da dare a Patti Smith. Con Lina la scintilla è scattata a teatro dove la vidi cantare in napoletano e mi aprì a suggestioni non anglosassoni, dal fado ai ritmi latino-americani. Qualche anno fa facemmo un provino insieme che non portò a nulla e invece questo disco mi ha dato la meravigliosa opportunità di duettare con lei".

Quando ha scoperto di avere il dono dell’artista?

"In realtà non so nemmeno se lo possiedo, sono sempre molto dubbioso sulle mie capacità e se vado avanti è proprio per dimostrare a me stesso di avere questo dono. Forse avrei bisogno di un buon psichiatra".

Formazione da autodidatta?

"Vengo da una famiglia dominata dalla musica, zia maestra di pianoforte, zio concertista d’organo, cugino nel coro delle voci bianche a Westminster, nonno musicista a Mosca alla corte dello zar Nicola II. Da bambino ho studiato piano anch’io ma ho imparato più che altro dai grandi musicisti che ho frequentato. Ho il rimpianto però di non essere stato abbastanza diligente nell’apprendimento di uno strumento. Anche la chitarra mi è servita più che altro per inventare situazioni musicali nuove e condurre una sorta di auto-analisi su di me".

Come ha visto cambiare il panorama musicale in questi 60 anni di vita italiana?

"Oggi è pieno di ragazzini che suonano divinamente però non vedo altrettanta creatività. La musica formalmente è molto diversa, gli strumenti per crearla pure, dal computer all’elettronica, ma alla fine ciò che conta è il talento".

Lei si è misurato anche come scrittore. È più facile mettersi a nudo in una canzone o in un libro?

"’Io sono immortale’ era una raccolta di pensieri che mi è servita a guardarmi allo specchio, per capirmi di più e meglio. Io sono molto autocritico e analitico e tante canzoni che scrivo le cestino senza avere più il pensiero di ripescarle. È l’unico modo che conosco per ricevere il rispetto del mio ambiente, sempre pronto e incline a denigrare".

C’è qualcuno di cui ha piena fiducia?

"Si va a momenti. Adesso posso dire Filadelfo Castro, il mio produttore, bravissimo e rigoroso come me. Vado a pelle".

Britannico di origine russa. Come vive questa guerra in Ucraina?

"Non c’entrano le radici quando ci si trova di fronte a un dittatore e a uomini come lui che lo affiancano. Non vivo alcuna nostalgia del passato che lui evoca, anzi in politica qualunque forma di nostalgia è un errore clamoroso perché non si può tornare indietro mai, bisogna sempre guardare avanti".

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