Don McCullin, testimone coinvolto dell’orrore delle guerre che hanno insanguinato il mondo dalla seconda metà del Novecento, confessa di aver manipolato la verità una sola volta. Accadde in Vietnam, quando vide due militari staunitensi cercare souvernir tra i vestiti di "uno stecchito muso giallo". Il fotografo inglese confessa di aver provato schifo per quell’atto di sciacallaggio. "Questo giovane aveva sacrificato la sua vita per la riunificazione nazionale. Calpestarono le sue cose, le foto di sua madre, le piccole istantanee coi bambini. Quell’uomo meritava di avere una voce. Non poteva più parlare, così lo avrei fatto io al posto suo". II reporter radunò allora quegli oggetti per comporre l’immagine e scattò la sua unica foto artefatta per mostrare un’altra verità. L’ammissione di questo “falso“, con altri racconti in prima persona, aumenta il carico emotivo della prima grande retrospettiva che il Palazzo delle Esposizioni a Roma dedica fino a 28 gennaio a uno dei maestri internazionali della fotografia di guerra.
"Dopo aver fotografato guerre e rivoluzioni per venti anni – spiega McCullin, 88 anni, cresciuto a Finsbury Park, quartiere operaio di Londra, scenario dei suoi primi scatti – i sorrisi contorti dei cadaveri in quel loro sonno eterno ancora mi ossessionano e fermentano nelle oscurità del mio io mentre passeggio nei campi. Anch’io sto combattendo dentro di me per lasciar andare il passato".