
Oggi Antonio Facco ha 33 anni ed è nell’Olimpo dei 50 migliori designer al mondo, secondo Marie Claire Maison. Per...
Oggi Antonio Facco ha 33 anni ed è nell’Olimpo dei 50 migliori designer al mondo, secondo Marie Claire Maison. Per lui la creatività è stata una costante sin da bambino: dalle scenografie delle recite familiari montate con cartone e colla insieme alla sorella gemella, agli oggetti creati come merce di scambio alle scuole elementari. È stato premiato ai Rising Talent Awards di Maison & Objet nel 2018, vanta collaborazioni con nomi di fama mondiale come Bolon, Cappellini, Antolini, Trussardi, Mohm, AgustaWestland...
Com’è nata la sua passione per il design?
"Fin da bambino avevo la tendenza a creare elementi nuovi per qualsiasi gioco facessi. Mi immergevo in un mondo parallelo e pensavo a come dare forma a qualcosa che non esisteva".
Lei è figlio d’arte?
"No, i miei genitori lavorano all’Eni".
Il suo percorso universitario?
"Ho seguito il corso di interior design allo IED. È stato un momento cruciale: ho iniziato a respirare lo spirito imprenditoriale grazie al background internazionale di alcuni compagni di corso".
Com’è iniziata la collaborazione con Cappellini?
"Giulio Cappellini era membro della giuria a cui ho presentato il progetto di laurea. Ancor prima di sapere il risultato, mi aveva già chiesto di lavorare con lui. Una svolta! Quel periodo in azienda è stato come aver fatto dieci master in tre anni".
Come ha potuto aprire uno studio tutto suo a soli 25 anni?
"Quando ho iniziato a ricevere le prime richieste, è arrivato il giorno in cui ho pensato: ci siamo, è il momento giusto".
Riesce ad avere una sua linea estetica da proporre alla committenza?
"Quando ho iniziato a lavorare avvertivo l’angoscia di trovare una mia lingua. I tempi sono cambiati. Non sento la necessità di avere un mio stile, ma di proteggere un mio approccio, che poi si riflette nel progetto finale. Credo che lo stile delle case debba rispecchiare quello di chi le abita, così come lo stile dei prodotti debba rispecchiare l’identità dell’azienda che li produce. È questo il grande sforzo del designer: mettersi nei panni degli altri, oltre che indossare i propri".
A cosa sta lavorando adesso?
"Una villa alle Bahamas, un’altra a Long Island. Una gioielleria per la Fratelli Piccini dietro il Duomo di Firenze e altri progetti residenziali in Europa. Poi dal macro passo al micro con una collezione di prodotti per l’azienda greca al2, per Trussardi, e una per l’indiana Ravoh".
L’ambizione di ogni designer è progettare oggetti senza tempo. Qual è il segreto?
"Il segreto è una formula magica difficile da definire. Il designer può e deve progettare un oggetto che sia il più bello e funzionare possibile e non sia migliorabile. Il resto lo fanno la solidità della rete commerciale e i sentimenti del pubblico che si affeziona a quell’oggetto".
Un progetto che le ha dato particolare soddisfazione?
"I tavolini Olo per MOGG: prodotti semplici dalla forma minimalista con proporzioni azzeccate".
L’intelligenza artificiale è un pericolo per i designer?
"Spaventa, ma non troppo. Nel design c’è molto lavoro umano di processo e resterà così ancora a lungo. A soffrirne sarà la mediocrità".