Il colpo di Conte: "Cara Scala, vieni via con me"

L’avvocato è il primo cantautore italiano ad esibirsi nel tempio milanese. "Da spettatore non ci sono mai stato. Ma quanto amo Verdi"

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di Andrea Spinelli

"Bisognerebbe raschiare le assi del palcoscenico per portarsi a casa un po’ di polvere" scherza Paolo Conte dietro alla scrivania del suo ufficio nel cuore di Asti parlando del concerto che il 19 febbraio gli spalanca a 86 anni, primo cantautore, i portoni della Scala. "Me ne basterebbe un sacchettino… ho suonato, infatti, su grandi palcoscenici come quelli dell’Opera di Chicago, della Staatsoper di Vienna, del Barbican di Londra, del San Carlo di Napoli, della Philarmonie di Berlino, ma La Scala è il teatro della nostra lirica, il più importante del mondo. Quello popolato dai fantasmi di Verdi, di Puccini della Callas, di Toscanini. Da spettatore non ci sono mai stato, ma sono affezionato a Sky Hd Classica e le opere me le guardo in tv. Finora l’istituzione era sempre stata fedelissima alla lirica e il mio è un esperimento. Non si sa ancora se sarò solo il primo o anche l’ultimo".

Dopo quello di Mameli, alla Scala si ascolterà pure l’altro inno degli italiani, Azzurro?

"Beh, durante il lockdown quella canzone un pochino inno lo è stato, visto che la gente la cantava sui balconi. Ma non so ancora se figurerà nel repertorio del 19 febbraio. Di sicuro non mancheranno, invece, cose come Via con me, Sotto le stelle del jazz, Gli impermeabili e Max".

Com’è nata l’iniziativa della Scala?

"Tutto è partito da Caterina Caselli. A metà maggio, in occasione di un mio concerto a Milano, ha lanciato l’idea e a giugno avevamo già la risposta (La Scala aveva dato il suo placet già una quindicina di anni fa, ma, nel giorno indicato, Conte era preso da una settimana di repliche a Parigi, ndr)".

Che rapporto ha con la lirica?

"Il colpo di fulmine l’ho avuto da bambino, quando l’emozione per un’aria di Verdi ascoltata alla radio mi fece cadere dal cavallo a dondolo. Poi però gli ho preferito la sinfonica e classica strumentale in genere. Da una venticinquina di anni, però, seguendo la lirica in tv, ho scoperto cose molto interessanti. Fondamentalmente rimango un verdiano perché la trilogia Traviata, Aida e Trovatore è imbattibile. Puccini è un grandissimo musicista, ma questo suo muoversi verso l’Oriente ogni tanto gli dà una tinta malinconica, un po’ troppo languida diciamo. Invece Verdi ha sempre una tensione straordinaria".

La Scala l’accoglie, ma lascia in attesa la richiesta di un Premio Nobel come Bob Dylan.

"Diciamo che m’è andata bene. Anche se penso che sotto il profilo letterario gli italiani abbiano fornito un apporto anche più consistente di quello degli americani o dei francesi. Che poi gli sia stato riconosciuto è tutto da vedere".

Quali artisti storici avrebbe voluto vedere su un palco di quel prestigio?

"Louis Armstrong, Sydney Bechet e Art Tatum. E Pavarotti, il mio tenore preferito".

Parliamo di Sanremo. Ci rimase male quando nel 1985 Gianni Ravera scartò Mia Martini con la sua Spaccami il cuore?

"Noi autori siamo sempre stati dei piccoli nomi, tra parentesi, sotto ai titoli delle canzoni. Al tempo non seppi neppure che il pezzo era stato presentato al Festival. Poi, però, oltre alla Martini, quel pezzo l’ha inciso, in inglese, Miriam Makeba con Dizzy Gillespie".

Dalla Scala della lirica a quella del calcio: cosa pensa della querelle sull’abbattimento di San Siro?

"No so quali interessi ci siano dietro. Ma a me il ‘Meazza’ piace, sia da fuori che dentro. Lo lascerei così com’è".

Detto da un milanista...

"Mi piace il football e penso pure di capirne, ma sono un tifoso “placido“ che, tradendo le sue origini, ha una passione per il diavolo fin da bambino".

Racconti.

"Qui ad Asti da bambini eravamo tutti per il Grande Torino. Dopo la tragedia di Superga, però, passammo in parecchi alla Juventus. All’età di dieci-undici anni, in villeggiatura a Sestri Levante eravamo vicini d’ombrellone con una simpaticissima famiglia milanese, quella del commendator Menni pezzo grosso della dirigenza rossonera. Quando mio zio mi portò a vedere Juve-Milan allo stadio di Torino assistetti a una rumba milanista firmata Gren, Nordahl e Liedholm: 1 a 7. All’uscita il commendator Menni mi disse: “Paolino, hai visto il Milan?“. E fu così che cambiai fede calcistica".

L’ultimo campione rossonero che le ha fatto battere il cuore per davvero?

"Probabilmente Shevchenko".