Venerdì 13 Settembre 2024

Il Cile 50 anni dopo: "Le cicatrici su noi giovani"

Camila Vallejo, classe ’88, portavoce del governo: "Diseguaglianze, scuola in crisi, debiti, cultura della paura: le ferite della dittatura sono aperte"

Il Cile 50 anni dopo:  "Le cicatrici su noi giovani"

Il Cile 50 anni dopo: "Le cicatrici su noi giovani"

Cinquant’anni fa, l’11 settembre 1973, un colpo di Stato in Cile metteva fine all’esperienza di governo del socialista Salvador Allende, portando al potere una giunta militare guidata dal generale Augusto Pinochet. Allende, pur di non finire nelle mani dei golpisti, scelse di suicidarsi nel palazzo presidenziale della Moneda, difeso fino all’ultimo armi alla mano. Finì così il sogno di trasformazione del Paese verso una forma di socialismo democratico e cominciò per il Cile una terribile dittatura, durata fino al 1990, quando Pinochet lasciò il potere per effetto della sconfitta subita al referendum istituzionale del 1988. Oggi è al potere in Cile una nuovissima generazione politica, trenta e quarantenni in qualche modo eredi dell’esperienza di Allende. Il presidente Gabriel Boric, eletto nel 2022, ha 37 anni. Di seguito, pubblichiamo un estratto dell’intervista fatta da di Gloria de la Fuende, sottosegretaria del Ministero degli Esteri, a Camila Vallejo, attuale portavoce del governo cileno, contenuta nel libro edito da Fondazione G. Feltrinelli “Cile, un popolo in movimento“ a cura di Gloria de la Fuende e del professor Juan Pablo Luna. Vallejo, 35 anni, nel 2011 fu alla testa del movimento studentesco che scosse il Paese, contestando il presidente dell’epoca, Sebastián Piñera.

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"La dittatura ci ha lasciato molte cose. Sono nata nel 1988, quindi ho potuto vederne solo gli effetti, gli ultimi strascichi. Pur non avendola vissuta in prima persona, conosco bene il suo retaggio e, ovviamente, tutti i governi della transizione. Detto ciò, io sono figlia del mercato della sanità e dell’istruzione a pagamento. Ho visto con i miei occhi il progressivo indebolimento dell’organizzazione sociale. Insomma, tutte le ferite che la dittatura ha inferto, perché stiamo parlando di ferite ancora aperte; famiglie devastate, che dopo tutti questi anni non riescono a trovare madri, mariti e figli scomparsi. In altre parole, anche se non abbiamo vissuto in una dittatura civile-militare, senz’altro ne paghiamo lo scotto, che va ben oltre il numero di persone ferite, torturate e scomparse. Ci ha lasciato in eredità un sistema educativo frammentato e abbandonato a se stesso, indebitamento pubblico e disuguaglianza sociale. Un altro lascito è una sorta di cultura della paura, un sentimento diffuso che percepiamo anche noi. Quando abbiamo iniziato a uscire per strada, i nostri genitori e i nostri nonni ci dicevano di stare attenti, perché erano ancora segnati dal trauma".

Dal ricordo della dittatura.

"Le cicatrici lasciate dalla dittatura sono ancora visibili. Se parliamo delle sue conseguenze, è stato davvero un progetto “rivoluzionario“. Non si è trattato solo del colpo di Stato e del suo impatto. L’onda d’urto si è propagata fino ai giorni nostri: la cultura della paura, il trauma, per non parlare dell’intero modello economico, sociale, politico e culturale che si è lasciato dietro. Adesso, dopo tanti anni, bisogna ammettere che il problema non riguarda soltanto la dittatura, ma anche la democrazia. Dobbiamo smetterla di addossare tutte le colpe alla dittatura. Anche per la democrazia è giunto il momento di pagare il conto, perché non siamo riusciti a trovare una soluzione a tutti questi problemi. In altre parole, i responsabili siamo noi. Alla luce degli ultimi cinquant’anni, occorre riflettere sul perché non abbiamo saputo riprenderci dal trauma, rimarginare le ferite e appianare le disuguaglianze, ma è giunto anche il momento di parlare del futuro che vogliamo, di riaccendere un barlume di speranza".

(...) Ma che cosa pensate ora che siete alla Moneda? Sappiamo bene che sia più facile a dirsi che a farsi, come si dice fin troppo spesso...

"A mio avviso, stiamo vivendo una crisi su scala mondiale dei sistemi rappresentativi, e il Cile non fa eccezione. Inoltre, è in corso una crisi degli Stati. Credo che lo Stato abbia molti problemi, non è in grado di rispondere concretamente ai bisogni delle persone. C’è poi un problema di efficacia, di efficienza, lo vedo bene dal’interno. Perché da fuori è facilissimo dire: “La burocrazia è solo un mucchio di scartoffie inutili“, ma da dentro posso confermare che esiste eccome, e spesso costituisce un impedimento, rallenta troppo le decisioni più urgenti per la popolazione, decisioni che vengono approvate e poi rimandate per mesi e mesi, se non addirittura per anni, prima di venire attuate".