Giovedì 25 Aprile 2024

Il caso Dicker: il thriller stavolta non decolla Il bestseller dell’estate resta a metà strada

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Si leggono in un soffio – soprattutto se si è all’aeroporto con tutti gli aerei in ritardo – le 600 pagine del nuovo thriller di Dicker, bestseller dell’estate. Però – a differenza di quanto accadeva nel 2013 appena arrivati alla fine del caso Harry Quebert – chiuso il libro ciao e a non rivederci. Fa anche tristezza, perché per un po’ era stato bello credere nel talento del giovane scrittore canadese. Ci fu addirittura chi, ai tempi di Quebert, azzardò paragoni con Céline, Faulkner, Proust, Joyce. Il problema è che – 10 anni dopo – il Dicker di Alaska non solo non è né Proust né Joyce, ma non è neanche il Dicker di Quebert. In scena – siamo in una sorta di sequel di quel thriller diventato anche serie tv – c’è sempre il romanziere Marcus Goldman, l’allievo di Harry che ha superato il maestro; ogni tre per due viene ricordato quanto successo abbia ottenuto grazie alla sua penna meravigliosa, alla sua sterminata umanità e al suo unico indomabile senso di giustizia. È per questo, e per l’amicizia che lo lega al sergente Gahalowood, che Marcus si ritrova nel 2010 a riaprire un “cold case“ del 1999, l’omicidio di Alaska Sanders, un’indagine chiusa troppo in fretta. Se nell’Enigma della camera 622 Dicker aveva già mostrato segni di stanchezza appiccicando macchinosamente sottofinali a sottofinali, qui la macchinosità è applicata ai flashback, troppi, per forza didascalici e soprattutto incapaci di scolpire caratteri o emozioni. Alla fine resta solo un’idea: la prossima volta, Dicker potrebbe chiedere a Marcus di indagare su un altro sconvolgente – e assai più intrigante – mistero, quello dell’improvvisa scomparsa del talento di uno scrittore.

cdc

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