Mercoledì 24 Aprile 2024

Il cartellonista Renato Casaro: "Il poster è un racconto, ho dipinto il cinema"

Renato Casaro, l’ultimo cartellonista: le sue locandine hanno fatto la storia. Da Bertolucci e Leone a Tarantino: "Si sono fidati di me"

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Il poster dell’Ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci, con quel minuscolo imperatore bambino, in controluce, una luce quasi soprannaturale. Il poster del Tè nel deserto, le figure di un uomo e una donna stretti, il mantello di lui avvolto sul corpo nudo di lei. E le dune, appena accennate, un’immensità di giallo.

I volti dei quattro protagonisti di C’era una volta in America, eleganti in smoking, e tanto nero intorno. Kevin Costner che fa un gesto con la mano, e ti guarda, ha due dita pitturate di bianco e di rosso, in Balla coi lupi. Sean Connery, che emerge da un nero caravaggesco, dietro di lui le sinistre figure dell’inquisitore e di Jorge da Burgos, nel Nome della rosa. E la schiena di una donna, una parete bianca con uno schizzo di sangue, qualcosa di tragico è avvenuto un attimo prima: Nikita. Sono tutti suoi. Li ha dipinti tutti lui, li ha pensati tutti lui, quei manifesti.

Era un’arte delicata e difficile. Si trattava di riassumere, in un’immagine sola, la bellezza di un film. La sua forza. La promessa, il sogno che quel film offriva. Un’immagine che sarebbe finita sui cartelloni, nelle strade, nei muri di tutte le città d’Italia.

Renato Casaro è un signore tranquillo, con una gioia quasi infantile ancora nella voce. La settimana passata, il 26 ottobre, ha compiuto ottantacinque anni. Ne ha passati la maggior parte a creare alcuni dei più bei manifesti del cinema italiano e internazionale. Treviso, la città dove Casaro è nato e vive, è pronta a dedicargli, salvo stop dovuti al Covid, un’immensa mostra dal 5 dicembre a fine settembre 2021, in tre sedi: il Museo nazionale collezione Salce nella chiesa di S. Margherita e nel complesso di San Gaetano, e i musei civici di Santa Caterina. Un modo per celebrare un grande artista, sempre attento a considerarsi solo un bravo artigiano.

Le è stato anche recentemente dedicato un film, in cui il documentarista Walter Bencini racconta la sua storia: L’ultimo uomo che dipinse il cinema.

"Fare le interviste che compongono quel film è stato un bel viaggio fra i ricordi, fra i film che ho ‘raccontato’ con i miei cartelloni. Bencini è stato molto attento, molto accurato. Ha raccontato la mia storia, ma anche un pezzetto della storia di tutti".

Ma non le dispiaceva che dopo l’uscita dei film, quei manifesti cui dedicava tanto lavoro venissero coperti da altri?

"Ma no: era il loro destino. E per il tempo in cui restavano sui muri delle strade, nelle città d’Italia, era come avere le proprie opere esposte in un museo messo a disposizione, gratuita, di tutti! Che cosa c’è di più bello?"

Ha realizzato molti manifesti per Sergio Leone. Come era il rapporto con lui?

"Ero il suo cartellonista preferito: lo sentivo vicino, amico. Stavamo preparando un film insieme, un western che doveva raccontare la storia di una pistola Colt. Andavo nel suo studio, discutevamo i bozzetti. È scomparso poco dopo uno dei nostri ultimi incontri".

Quentin Tarantino le ha chiesto di realizzare dei finti manifesti di western con Leonardo DiCaprio per C’era una volta a Hollywood. Com’è andata?

"È stata una cosa inattesa, e molto bella. Tarantino, pur potendo scegliere i migliori artisti del mondo, è venuto da me, mi ha chiesto di disegnare per lui. È stato bello. Lui è un grande appassionato di cinema italiano, e conosceva i miei manifesti per i film con Terence Hill e Bud Spencer, e anche tutti gli altri".

Ha amici, nel mondo del cinema?

"Con alcuni sì, siamo rimasti amici: con Terence Hill, per esempio. Anche qualche attore americano: Kevin Costner mi ha fatto spesso i complimenti per il manifesto di Balla coi lupi. E anche Stallone era entusiasta di come lo disegnavo".

Quando è che ha deciso di smettere?

"Al volgere del millennio. Feci il manifesto di Asterix e Obelix contro Cesare, nel 1999. Ma ormai il digitale aveva preso il sopravvento, non aveva senso lottare ancora. Ma ho ancora qualche cosa da dire, ogni tanto. Per il film di Carlo Verdone Si vive una volta sola, che deve ancora uscire, mi hanno chiamato per impostare la pubblicità: le immagini della promozione si basano su una mia idea pittorica, poi trasformata in fotografia".

La persona più importante per il suo lavoro?

"Mia moglie. La prima spettatrice. Le dicevo: ti piace?. Se lei mi diceva sì, allora potevo presentarlo alla produzione".

 

 

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