Il calvario di Martina Racconta la sua storia per dare coraggio

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di Caterina Ceccuti

Le patologie infiammatorie croniche intestinali sono un fenomeno in costante aumento nella popolazione mondiale. Morbo di Crohn, Colite ulcerosa, Rottocolite ulcerosa (Rcu). A raccontarci cosa significhi soffrire di una di queste patologie è l’ex modella Martina Santagiuliana di Recoaro Terme, oggi trentenne, che sin da bambina combatte contro la Rcu ed è stata dichiarata uno dei casi più gravi d’Italia. Martina però non si è mai arresa, neanche quando i medici le dissero "Le speranze di vita sono scarse".

Martina, quando ha scoperto di avere la Rcu?

"Avevo 4 anni. In Italia allora non si sapeva quasi niente della patologia. Persi molto tempo in giro per ospedali prima di capire cosa avessi. Alla fine approdai a Verona e ricevetti la diagnosi. Intanto però avevo dimenticato il mondo dei bambini: i miei amici non erano i compagni dell’asilo ma gli infermieri e i medici dei reparti. Una volta tornata a casa continuai a stare male finché una sera sentii il corpo abbandonarmi. Dissi ’Ciao mamma, ciao papà’, poi persi i sensi. Mi risvegliai in ospedale, mi avevano ripreso per i capelli perché il mio intestino era collassato".

La operarono?

"Sì, a Roma, era il 1994. Il medico disse che sarei morta da lì a qualche giorno, però tentò comunque l’intervento e dopo 12 ore di sala operatoria, 8 di terapia intensiva e non so quante sacche di sangue sono sopravvissuta. Sono stata all’Ospedale Bambin Gesù per quasi un anno, i medici procedevano per tentativi perché non sapevano nulla riguardo agli esiti di quel tipo di intervento. Fu durissima. Rimanevo allettata, le gambe non mi rispondevano più, ero depressa. Un giorno dei medici mi misero in fondo al corridoio del reparto: ’Finché non ti alzi da sola, nessuno ti verrà a prendere’. Per quanto brutale, la loro tecnica mi spronò a reagire".

Come ha vissuto il rapporto con i suoi coetanei?

"È stata dura, soprattutto durante l’adolescenza, un’età già difficile di suo. I professori a scuola non capivano le mie condizioni, si rifiutavano di mandarmi in bagno quando dovevo, potete immaginare le conseguenze. Nonostante i referti ospedalieri non mi credevano. A vent’anni ebbi una grossa ricaduta: la mia Rcu si era estesa anche al tratto vaginale. Persi 5 o 6 anni girando tra gli ospedali e provandole tutte – compresa un’operazione l’anno-, finché nel 2019 mi consigliarono un nuovo intervento di grossa portata all’estero e il 10 gennaio scorso sono stata operata in Belgio".

Un vero calvario. Eppure oggi sulla sua pagina Instagram lei è promotrice di una grande campagna di sensibilizzazione a favore delle persone affette da Rcu.

"Ho iniziato per caso, volevo raccontare la verità della mia vita, senza finzione, e nel giro di pochi mesi la pagina ha preso il volo. Le persone si sono affezionate ed io le considero la mia seconda famiglia. Ogni giorno ricevo moltissimi messaggi perché la gente ha paura di non essere capita a livello sociale e vedere qualcuno che nel suo piccolo ti racconta il proprio vissuto e ti dà consigli su come affrontare situazioni dure, aiuta a non sentirsi soli".

Com’è oggi la sua routine?

"Sono una donna sposata, neanche a dirlo mio marito l’ho conosciuto in farmacia. Una vita normale non è possibile, la patologia è troppo ingombrante. Con i farmaci si riesce al massimo a tenerla un po’ sotto controllo. Lavorare in aziende o in uffici non è fattibile perché le persone non capiscono le necessità di un malato di Rcu. Mi prendono per una che va in bagno 5 o 6 volte per ripassarsi il trucco. Credo che le istituzioni dovrebbero aiutare chi ha problemi di salute come i miei, invece sono sempre stata lasciata sola. Il mio auspicio è che la ricerca sulla Rcu riparta, perché per ora in Italia è tutto fermo, a discapito di quanti non possono permettersi di andare all’estero per ottenere una speranza di vita".

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