Giovedì 18 Aprile 2024

Il calcio ipocrita e il tabù dell’Aids La solitudine del portiere Giuliani

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Eppure il 7 novembre del 1991 era passato da un po’. Quel giorno Magic Johnson annunciò la sua sieropositività al mondo intero. Giuliano Giuliani aveva 33 anni all’epoca, e da un anno – dopo aver vinto il secondo scudetto con il Napoli di Maradona – era sceso in serie B. Prima, ai tempi del Napoli, aveva solo una febbricola che lo tormentava, poi la diagnosi: sieropositivo. Su Giuliani, morto nel 1996 al reparto malattie infettive dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna, è calato l’oblio. Quasi tutti si sono dimenticati che, a cavallo degli anni ’80 e ’90, era un portiere, corteggiato prima dall’Inter per sostituire Zenga poi la più valida alternativa al bipolarismo dei pali tra lo stesso Zenga e Tacconi. Ventisei anni dopo un libro ricostruisce la vita, la carriera e la malattia di Giuliani e soprattutto il silenzio assordante dei colleghi (e non soltanto loro) sulla morte. Il giorno del funerale, nonostante avesse giocato in Como, Verona, Napoli e Udinese (quasi sempre in serie A), c’erano pochissimi calciatori davanti al feretro. Perché parlare di sieropositività e di Aids nel pallone, almeno in Italia, non era possibile. Troppo scomodo.

Così Paolo Tomaselli, partendo da una lettera che scrisse allo stesso Giuliani quando aveva 8 anni, passo dopo passo costruisce un racconto di quel portiere che parlava poco (solo quando era necessario farlo), ma sapeva essere decisivo nelle sfide importanti. In questo libro c’è il Giuliani calciatore e il Giuliani uomo. Una vita non così meravigliosa, come si penserebbe sia quella di un calciatore. Ma una vita.

Matteo Massi

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