I vicini del Duce che finirono a Auschwitz

I Matatia, ebrei di origine greca, avevano una casa a Riccione accanto a Villa Mussolini. Furono costretti a venderla. Poi la deportazione

Migration

di Stefano Marchetti

La casetta rossa a ridosso di viale Ceccarini è ancora là, stretta e quasi schiacciata fra due palazzi più alti e vistosi costruiti negli anni: boutique, alberghi, lo sciamare distratto dei turisti. Pochi passi più avanti, ecco Villa Mussolini, residenza estiva del duce, oggi centro espositivo e sede di eventi. Quando acquistò il villino di mattoni rossi a due passi dalla spiaggia, Nissim Matatia, cittadino greco di religione ebraica, pellicciaio a Forlì, non avrebbe certamente immaginato che quella casa avrebbe segnato il suo destino. Per lui quella dimora estiva rappresentava soltanto un’aspirazione di serenità, il desiderio di trascorrere giorni felici al mare con la moglie Matilde e i figli Beniamino, Roberto e Camelia, ma divenne il suo tormento e il suo calvario. Anzi, la sua condanna.

Mussolini e la gerarchia fascista non potevano ammettere che un ebreo fosse vicino di casa del duce: minacciato, torchiato, stremato, Nissim Matatia fu costretto a cedere per due soldi la sua villetta. E la sua vita finì poi nel gelo e negli stenti del campo di Auschwitz.

Nissim Matatia era arrivato in Italia negli anni ‘20, insieme ai fratelli: una famiglia di artigiani pellicciai, esperti, bravissimi e assai ricercati dalle signore dell’alta società. Aveva aperto il suo laboratorio in centro a Forlì, la sua attività gli garantiva un discreto benessere. E come tante famiglie di ieri e di oggi, nel 1930 Nissim decise di investire i suoi guadagni nella classica casa al mare. Allora Benito Mussolini non era ancora suo vicino di casa: infatti soltanto nel 1934 il duce acquistò Villa Margherita, costruita a fine ‘800. "All’inizio i rapporti fra vicini erano buoni, i figli giocavano insieme, c’era anche confidenza", ricorda da Faenza Roberto Matatia, pronipote di Nissim, che ha ricostruito la vicenda nel libro I vicini scomodi, edito da Giuntina. Ma già verso la fine del 1937 in Italia iniziò a soffiare il vento della persecuzione verso gli ebrei. E nel 1938 vennero poi promulgate le leggi razziali. I fratelli di Nissim maturarono l’idea di rifugiarsi all’estero: nei mesi, uno di loro riuscì a partire per la Bolivia insieme alla famiglia, l’altro raggiunse la Svizzera. Nissim no: lui pensava che i buoni rapporti con l’importante vicino di casa lo avrebbero protetto.

"E invece per lui cominciarono i guai – aggiunge Roberto Matatia –. Venne convocato più volte in Questura a Bologna: lo avvertirono che avrebbe dovuto assolutamente vendere il villino di Riccione, che non avrebbe potuto rimanere là". Nissim cercò di resistere, amava quella casa: nel novembre 1939, tuttavia, venne espulso dall’Italia come ebreo straniero, e Villa Matatia – affidata a un curatore – fu ceduta per appena 14.400 lire.

Nissim Matatia venne rispedito a Corfù, ma rientrò clandestinamente in Italia: la sua famiglia si era rifugiata a Savigno, sull’Appennino bolognese. Nel 1943 furono tutti catturati e quindi deportati ad Auschwitz: partirono dal binario 21 della stazione di Milano, sullo stesso convoglio su cui viaggiava anche Liliana Segre. Dal lager, dopo la guerra, tornò soltanto Beniamino, il figlio più grande, che suonava la fisarmonica nell’orchestrina del campo. Ma venne poi stroncato dalla tubercolosi.

"Di tutta questa storia mio padre non mi ha mai parlato completamente, forse per pudore, forse per la voglia di non rivangarne la memoria. L’ho appresa meglio soltanto pochi anni fa, quando un signore mi consegnò una cartella gialla con le lettere che Camelia, figlia di Nissim, sedicenne, aveva scritto a un fidanzatino: gli raccontava le paure, le angosce, il dolore della sua famiglia", ricorda Roberto Matatia.

Domattina sul lungomare di Riccione, in occasione della festa della Repubblica ispirata alla pace, il Comune disvelerà una targa storica dedicata proprio a Villa Matatia. "Quando passo davanti al villino dello zio, avverto sempre un colpo al cuore, un senso di disagio e di dolore – confida Roberto –. E certe volte resto come ipnotizzato a fissare le finestre, come se ancora avvertissi la presenza di Nissim, di Matilde e dei loro figli". Fantasmi di una storia scritta nelle pietre. Anzi nei mattoni.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro