Sabato 20 Aprile 2024

I SEGUACI DELLA RELIGIONE DEL LUSSO

di Lorella Bolelli

La religione del lusso ha anche una sua chiesa i cui predicatori spendono migliaia di euro per un paio di sneakers e influenzano seguaci e follower su scelte parimenti dispendiose che possano testimoniare lo status e il censo dell’oligarchia che nel mondo può inserirsi nel mercato delle collezioni di nicchia e dei prodotti esclusivi in edizione limitata. Aldo Agostinelli e Silvio Meazza che già nel 2017 si erano addentrati nell’intricato mondo del successo economico raggiunto per via virtuale pubblicando People are media. Il business digitale nell’era dei selfie, ora, con Bling (Mondadori), puntano l’occhio di bue sulle abitudini d’acquisto di chi può disporre di finanze pressoché illimitate rispetto a un’offerta che si arricchisce continuamente e a un ritmo sempre più incalzante.

Fin dove può spingersi un vortice di desideri soddisfatti che ne innescano altri?

"La verità - risponde Aldo Agostinelli - è che l’industria del lusso è un paradigma che può aiutare tutti gli altri segmenti produttivi ad allinearsi alla nuova società perché ha fatto e sta facendo da apripista. Prima il prodotto costoso rispondeva a un cluster di clienti più ampio, adesso si va verso la personalizzazione più spinta mediata dalla velocità delle comunicazioni digitali".

Ma in tempo di Covid e di emergenza economica non è amorale inseguire il prodotto esclusivo e pagarlo di conseguenza?

"In realtà, se ci si ferma a riflettere, l’industria del lusso dà lavoro a migliaia di persone e, pur nella globalizzazione, ha ancora l’Europa come suo centro propulsore e nell’Italia un player importante. Pensiamo alla diportistica: nel Mediterraneo non ci sono più posti barca sufficienti per ospitare tutti gli yacht. Ma ciò comporta indotto per la gestione locale di queste presenze. In più l’industria del lusso manifesta un’attenzione verso le tematiche sociali che altri segmenti produttivi ignorano o trascurano".

L’attenzione all’ambiente fa più presa nell’upper class?

"I consumatori di questa fascia in effetti sono molto attenti a quanto li circonda. Non a caso l’ultimo grido in fatto di moda è il ‘second hand’. Un tempo i guardaroba demodé venivano schifati, oggi sono diventati una risorsa e a loro volta capi e accessori vintage rappresentano lo specchio di uno status privilegiato ma attento alla sostenibilità. Poter spendere cifre a molti zeri non deve creare imbarazzo né rispetto a chi ha faticato per produrre né verso un pianeta in affanno".

Adesso che cosa fa veramente status negli user più danarosi?

"Una volta avere soldi era un fenomeno territoriale. Oggi è globale. Un ventenne che può comprarsi sneakers da mille euro manifesta gusti analoghi in Cina come da noi, c’è una similarità anche tra persone lontane nel mondo che però fanno nicchia in quanto sono tutte tenute insieme dall’esclusività delle scelte e dalla volontà di ostentazione. Le edizioni limitate che si ha tempo 24 ore per accaparrarsele scatenano ordini digitali in tutto il pianeta".

Una nicchia quanto corposa?

"Trecento milioni sono i super-ricchi, poi ci sono i ricchi e l’affluent society".

I sacerdoti del villaggio globale del lusso sono gli influencer...

"Ma a poco a poco rimarranno a galla solo quelli che hanno anche un messaggio di valore da trasmettere e non si limiteranno a indossare la t-shirt da 4mila euro. Dei Ferragnez ce ne sono pochi, avverrà una selezione naturale. Il mondo digitale democratizza e personalizza al massimo e la comunicazione tra i diversi livelli sociali è in continuo movimento. Vince chi è più aerodinamico, per citare Baricco".

Vale anche per chi produce?

"Assolutamente, l’omnicanalità ha fatto sì che tanti produttori di valore ma non di marchi prestigiosi abbiano potuto farsi conoscere entrando nel circuito del lusso".

L’identikit globale del nuovo Onassis?

"L’obiettivo di tutti i brand è entrare nelle grazie dei professionisti in ascesa, soprattutto asiatici e cinesi, che sono un numero enorme di persone. Il target da conquistare sono quelli che una volta venivano chiamati yuppies, un’età media di 43 anni e un reddito tra i 100 e i 250mila euro".

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