di Lorenzo Guadagnucci Francesca Serio, la madre di Salvatore Carnevale, è una donna di cinquant’anni, "di una bellezza dura, asciugata, violenta, opaca come una pietra, spietata, apparentemente disumana". Così Carlo Levi descrive la madre del giovane sindacalista socialista che aveva guidato la rivolta dei braccianti contro il latifondo, ucciso in una strada di campagna a Sciara (Palermo) il 16 maggio 1955. Francesca, scrive ancora Levi, "parla, racconta, ragiona, discute, accusa, rapidissima e precisa, alternando il dialetto e l’italiano (...) Le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre. Parla con una profonda assoluta sicurezza, come chi ha raggiunto d’improvviso un punto fermo su cui può poggiare, una certezza: questa certezza che le asciuga il pianto e la fa spietata, è la Giustizia". Sono passi di rara intensità, parte di un libro che raccoglie i resoconti di “tre giorni in Sicilia”: Le parole sono pietre, pubblicato da Einaudi nel 1955. Levi a quel tempo è già un autore affermato grazie a Cristo si è fermato a Eboli, scritto durante la guerra nelle difficili giornate della clandestinità a Firenze, e pubblicato a guerra finita, nel ‘45, e poi tradotto in molte lingue. Il Cristo è un romanzo, ma un romanzo-verità, la prima grande inchiesta sul Sud Italia, un libro che non ha perso la sua potenza. In Sicilia Levi arriva da scrittore che si fa giornalista, il percorso inverso a quello più spesso battuto, con giornalisti che si fanno, o si improvvisano scrittori. Compie i suoi viaggi fra il ‘52 e il ‘55, nel pieno delle lotte dei braccianti e in un’epoca in cui il dominio della mafia non è oggetto in Italia della minima attenzione. Il racconto dell’accoglienza riservata nel paese di Isnello a Vincenzo “Vincent“ Impellitteri, neosindaco di New York, figlio di emigranti, è un capolavoro, un misto ...
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