Martedì 16 Aprile 2024

I nostri gatti, africani come noi E in quante “lingue“ ci parlano

Con i gatti non ci si annoia. Sono pigri ma capaci di slanci impressionanti, indolenti e snob ma anche – quando vogliono – affettuosi: difficile capirli fino in fondo, e forse sta in ciò buona parte del fascino che esercitano. La diffusa voglia di comprenderli meglio è testimoniata dai numerosi libri che li riguardano: sono opere di narrativa, memorialistica, poesia, scienza. Paola Valsecchi, etologa all’Università di Parma, in Non dire il gatto fa il punto sulle conoscenze accumulate, in un volume che ripercorre la storia della convivenza umani-felini.

Fra le varie nozioni da ricordare, oltre alla straordinaria diffusione dei gatti (600 milioni sul pianeta Terra), c’è la comune origine africana: noi discendenti da “Lucy“ e altri ominidi dell’Africa orientale, loro di Felis Lybica (i nostri gatti domestici non derivano dunque dai gatti selvatici europei). In Italia siamo gattofili (7,3 milioni di gatti casalinghi, più 1,3 milioni liberi), ma Germania e Francia, con 14,5 e 13,5 milioni di gatti di famiglia, ci surclassano.

Apprendiamo da studi e ricerche che i gatti distinguono i propri nomi e anche quelli dei propri umani di riferimento. E che parlano con grande varietà di suoni. Una tabella fa l’elenco: fusa, trillo, cinquettio, gorgoglio, miagolio, richiamo sessuale, gemito, due forme di ululato, ringhio, soffio, sibilo, sputacchio, urlo di dolore, chacchiericcio e battito di denti. Valsecchi affronta anche un punto critico: i gatti sono cacciatori e in certi casi mettono a rischio l’esistenza di alcune specie di uccelli. In Germania e Australia si è arrivati a proibirne l’uscita dalle case. Un problema serio, da affrontare con calma e razionalità.

Lorenzo Guadagnucci

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