Giovedì 25 Aprile 2024

I diari di Prezzolini: quando non esistevano i profeti del giorno dopo

Giovanni

Morandi

Nell’estate di ottant’anni fa Mussolini annunciava dal balcone di Palazzo Venezia che l’Italia entrava in guerra. Giuseppe Prezzolini non aveva particolari antipatie per il Duce, anzi. Considerava "il fascismo degno di attenzione come il comunismo", sono parole sue

e frequentava fascisti e antifascisti se la loro intelligenza li rendeva interessanti. In quei tempi delle decisioni irrevocabili insegnava alla Columbia University di New York. Non aveva fonti di informazione privilegiate ma quel che sapeva gli bastò per scrivere nel suo diario come sarebbe andata a finire quell’avventura che veniva affrontata "con un esercito che faceva schifo".

L’aspetto interessante di un diario sta nella capacità di sintesi e di intuizione di chi lo ha scritto. I diari dei profeti del giorno dopo, come ce ne sono tanti oggi, sono privi di interesse. Prezzolini, uomo colto di grande acume, fondatore della “Voce” e tra i più prestigiosi collaboratori del nostro giornale, invece capì tutto prima che le cose prendessero la brutta piega che poi presero. Quando Hitler invase la Polonia scrisse: "Noi italiani non siamo in guerra e il popolo è contento anche perché ha in antipatia i tedeschi. La nostra neutralità è una grande trovata. Se Mussolini riuscirà a mantenerla gli americani gli faranno un monumento. Gli italiani avranno fiducia in lui soprattutto se li terrà lontani dalla guerra". E qualche giorno dopo annotò: "La guerra per l’Italia significherebbe disastri, morti, sfaceli. Non ce la faremmo a superarla". Nell’aprile del ’40 segnalava "voci di una possibile entrata in guerra dell’Italia", prevedendo che "sarà un fatto che ritarderà anziché accelerare la fine del conflitto".

Aveva capito tutto, con qualche anno di anticipo.

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