Horror, sesso e fantasia: il mondo di D’Amato

Aristide Massaccesi, il regista italiano con una manciata di pseudonimi (ma il preferito era Joe), sarà celebrato alla Mostra di Venezia

Aristide Massaccesi, il regista italiano con una manciata di pseudonimi

Aristide Massaccesi, il regista italiano con una manciata di pseudonimi

Che cosa hanno in comune un western ironico come Scansati… a Trinità arriva Eldorado, un decamerotico come Sollazzevoli storie di mogli gaudenti e mariti penitenti o un peplum al femminile come La rivolta delle gladiatrici?

E film come La morte ha sorriso all’assassino con il diabolico Klaus Kinski, Giubbe rosse con Fabio Testi, o persino Paradiso blu, interpretato dalla figlia di Ingmar Bergman, Anna?

E soprattutto, che cosa hanno in comune Alexander Borsky, Arizona Massachusset, Federiko Slonisko, David Hills e Donna Aubert? E Peter Newton, Raf DePalma e Michael DiCaprio?

E Richard Haller, Zak Roberts, e la bella Joan Russell?

Semplice: erano tutti registi. O meglio, erano tutti “un“ regista. Differenti pseudonimi della stessa persona. Che ha firmato i suoi film con tutti quei nomi, e altri ancora. All’anagrafe era Aristide Massaccesi. Per molti suoi film, e per i suoi fans, sarà Joe D’Amato.

Joe D’Amato, una specie di mito ambiguo, sospeso nel limbo dei registi dei film di genere. Tutti i generi: non escluso il porno. Un regista di culto: in America un genio dell’horror, in Francia un maestro dell’erotismo e in Italia il re del porno, appunto. Produttore, regista, autore, elettricista, operatore e direttore della fotografia, D’Amato ha realizzato (anche con gli altri pseudonimi) centinaia di film spaziando dagli spaghetti western al post-atomico, dal decamerotico all’eros patinato, dal porno estremo allo splatter.

A lui la Mostra del cinema di Venezia, che si aprirà mercoledì primo settembre al Lido, dedica un omaggio con la proiezione del documentario Inferno rosso. Joe D’Amato sulla via dell’eccesso di Manlio Gomarrasca e Massimiliano Zanin.

La proiezione sarà presentata da un padrino d’eccezione: il regista danese Nicolas WInding Refn, l’erede del cinema visionario e surreale di David Lynch, l’autore di Drive e di The Neon Demon.

La Mostra di Venezia – che, dalla sua nascita, è dedicata all’arte cinematografica, al cinema come arte – celebra così un autore che ha scelto di mettersi al servizio del pubblico. E nella cui biografia si può leggere tutta la storia del cinema italiano, dagli anni ’60 alle soglie del Duemila.

Era nato nel 1936, a quattordici anni era già al lavoro sui set: come elettricista, ma da qualche parte si deve pur cominciare. Nel 1960 è sul set della Dolce vita, nel 1963 è aiuto regista per Il disprezzo, capolavoro di Jean-Luc Godard. Ma il suo cammino non sarà nel cinema d’autore.

Nei nove cieli del Paradiso del grande schermo, fra i beati, gli angeli e i santi del cinema d’autore, fra Visconti e Fellini, Pasolini e Rossellini, lui non ce lo ritroviamo. Né lui, né i suoi amici Alexander Borsky, o Michael DiCaprio, o Raf Di Palma, o la bella Joan Russell. Ma ora, coraggiosamente, la Mostra di Venezia lo strappa via dal limbo.

Come del resto già fece otto anni fa, nel 2013, con Tinto Brass, proiettando il documentario Istinto Brass. Lo dirigeva proprio uno dei due registi del docufilm su Joe D’Amato, Massimiliano Zanin.

Rispetto a Tinto Brass, Joe D’Amato è andato oltre: ha superato la linea che Tinto non ha toccato, quella fra soft e hard. Negli anni ’60 e ’70 ha diretto film di vari generi, poi ha puntato sempre più verso l’hard core. Era ancora “soft“ la serie dei film di Emmanuelle nera, che univa cinema d’avventura, location esotiche e la bellezza assoluta dell’indonesiana Laura Gemser. Ne diresse nove, di quei film: e già in alcuni comparivano sequenze hard, per le versioni da distribuire all’estero.

Poi con Sesso nero, uscito nel 1980, D’Amato firma il primo hard italiano. Film che, peraltro, è stato oggetto di un omaggio, nel 2006, con la copia restaurata proiettata a Parigi, alla prestigiosa Cinémathèque française.

Fino alla morte – avvenuta nel 1999, per un attacco di cuore –, il regista e produttore ha realizzato film hard di grande qualità formale, lavorando con Rocco Siffredi e Selen, Eva Henger ed Erika Bella. Alla fine, saranno più di duecento i film che ha diretto, firmandosi in mille modi, quasi a voler scomparire sotto i suoi pseudonimi, come un Fernando Pessoa del soft e dell’hard. Chiamalo col suo nome. Joe D’Amato.

 

 

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