Mercoledì 24 Aprile 2024

Hollywood superstar, sul viale del Museo

Los Angeles, l’Academy ha aperto al pubblico l’edificio monumentale di Renzo Piano. C’è tutto il cinema: miti, divi, glorie e ingiustizie

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di Giampaolo

Pioli

Visto da fuori è un collage bianco di stili architettonici diversi che Renzo Piano ha cercato di realizzare quasi accerchiando una gigantesca sfera di cristallo che sta nel mezzo come l’abbozzo di una base spaziale. Dentro invece ciascuno ha la sensazione di entrare in un sogno, circondato da tante magie. L’Academy Museum of Motion Pictures, dopo decenni di false partenze e sospensioni, finalmente è finito e ha aperto al pubblico con un grande galà l’altra sera. I curatori dicono che contiene tutti i "fatti e misfatti di Hollywood", il razzismo che dominava nel mondo bianchissimo del cinema e la sua parziale redenzione. Il viaggio che in poco tempo ha portato alla #OscarssoWhite e #MeToo fino al più politico Black Lives Matter è avvenuto spesso su una strada sterrata che lasciato diverse vittime in carcere. "Stiamo celebrando l’industria del cinema – dice il direttore Bill Kramer – ma non va dimenticato che abbiamo incluso nei vari spazi profonde discussioni e riflessioni su episodi dei quali non andiamo troppo fieri…".

Non è il museo dell’autocritica dell’industria cinematografica in altre parole, quello che apre a 92 anni dalla fondazione dell’Academy, ma come ha suggerito con grazia Tom Hanks "un museo che va visto come la più grande lanterna magica del mondo che ti trasporta in un altro pianeta….", polemiche a parte. Renzo Piano pensando alla sua grande sfera ha voluto precisare: "Non è una stella cadente o una cometa, ma l’intero edificio va vissuto come uno Zeppelin dove luci e ombre si mescolano creando un movimento sospeso…". Tutti scommettono che questa costruzione realizzata su quasi 30.000 metri quadrati diventerà nei prossimi mesi la nuova attrazione di Los Angeles. In realtà lo è gia. Al suo interno uno stupendo cinema-teatro da 1000 posti, intitolato a David Geffen sarà il luogo designato per le grandi anteprime mondiali di Hollywood sia per gli Studios sia per il cinema indipendente. Nelle sale gli spezzoni del lavoro artigianale di Almodóvar in Parla con lei si mischiano a quelli Spike Lee con BlacKkKlansman o allo script tutto pieno di note fatte da Gregory Peck ne Il buio oltre la siepe del 1962 mentre un largo corridoio porta fino all’accappatoio con maglietta e mutande annessi, usati da Jeff Bridges nel Grande Lebowsi. Deliziose anche le polaroid di Christian Bale e Joaquin Phoenix scattate durante le loro prime, conservate nelle bacheche del museo insieme alle note originali di numerosi casting di Al Pacino. Cimeli storici, trucchi, costumi: non manca niente. Ma se la bocca del "grande squalo" appeso al soffitto è l’introduzione alla magia tecnica e agli effetti speciali, il vero cuore culturale del museo sono i tre piani intitolati "storie del cinema" che mostrano in pratica quello che è rimasto o che si è dissolto nelle carriere di attori e registi esaltati, emarginati o esclusi negli anni bui degli Studios.

Un’intera stanza è occupata dai discorsi di ringraziamento per gli Oscar, mentre le 20 statuette d’oro vengono allineata con un buco per evidenziare che quella assegnata a Hattie McDaniel nel 1939 con Via col vento manca perché l’attrice venne forzata a sedersi in un’aera segregata riservata ai neri per la cerimonia. L’Academy Museum of Motion Pictures insomma dopo quasi 800 milioni di dollari investiti e un paio di rischi di bancarotta, dopo annunci di aperture imminenti bloccati da 18 mesi di Lockdown è riuscito a diventare finalmente quell’enciclopedia vivente della "memoria" di Hollywood che al cinema proprio mancava e che adesso si trasformerà in una forma di coscienza critica.

Sicuramente dopo quasi un secolo è un forte passo avanti rispetto ai primi elenchi dei lavoratori dello spettacolo pubblicati a Los Angeles che classificavano solo le attrici bianche come leading woman mentre dirottavano in una diversa sezione quelle di colore o asiatiche alle quali i ruoli da protagonisti non potevano mai essere affidati. L’esempio più forte è una grande immagine di Anna May Wong (1919-1961) la brava interprete Chino-Americana considerata la prima star non bianca riconosciuta a livello internazionale alla quale però solo per la razza erano spesso negati ruoli da protagonista. I biglietti per fare (25 dollari l’uno), si possono prenotare solo via internet. Adesso che l’America ha aperto ai viaggiatori italiani, sicuramente Los Angeles offre una stimolante tappa in più non lontana dal "viale del tramonto".

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