Mercoledì 24 Aprile 2024

"Ho preferito la vita al successo" Il ritorno di Stromae, artista e papà

Il cantante belga e i 7 anni di silenzio: troppa pressione, avevo bisogno di tempo per me

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di Andrea Spinelli

"Ti ho dato la vita, tu hai salvato la mia" canta Stromae in C’est que du bonheur, una delle 12 tessere che compongono il puzzle del nuovo album Multitude, rivolgendosi al figlio che avuto tre anni fa con la moglie Coralie Barbier. Dopo il successo planetario di Alors on danse (2010) e di Racine Carrée, best seller del 2013 trainato da trionfi come Papaoutai e Formidable, il cantautore belga (al secolo Paul Van Haver, classe 1985) ha fatto perdere le tracce, ritrovandosi solo ora. E il motivo sta anche nell’overdose da successo. "Mi è capitato di avere pensieri suicidi, non ne vado fiero" ammette nei versi de L’enfer.

Stromae, nello show business di oggi si può scomparire per così tanto tempo senza subirne le conseguenze?

"Fermarmi per sette anni è stato un rischio, ma non avevo altra scelta. Dovevo farlo. Volevo sposarmi, avere un figlio, una vita normale. E per per pubblicare un nuovo album, sentivo il bisogno di trovare qualcosa di interessante da dire. Non sono sicuro che sia stata la soluzione migliore, ma volevo prendermi il tempo necessario".

A giudicare dalla partenza delle prevendite per il concerto del 20 luglio prossimo al Milano Summer Festival e di quello del 16 maggio 2023 a Roma, pare che il pubblico sia ancora tutto lì.

"Nei giorni scorsi ho tenuto tre show a Bruxelles, Parigi, Amsterdam e sono stato abbastanza fortunato da esaurire i biglietti rapidamente. Dopo tutto questo tempo, mi ha un po’ spiazzato vedere il pubblico scegliere i miei concerti a scatola chiusa, sulla fiducia. La gente dimentica rapidamente, ma nel mio caso non è stato così e non me ne spiego il motivo".

Nel disco non ci sono duetti. Con chi le piacerebbe mischiare le carte?

"Sono un fan di Adele, ma anche di qualche altra artista meno conosciuta".

Ha perso il padre nel genocidio del Ruanda ed è cresciuto con sua madre, fiamminga, a Bruxelles. Che effetto le fa la guerra alle porte d’Europa?

"La guerra è brutta. Non vivendo con noi, papà di fatto non l’ho conosciuto, quindi, mi riesce difficile dire “ho perso mio padre“. Ma è stato di sicuro una cosa orribile per le sue sorelle, i suoi fratelli e anche, sì, anche per me".

"Tutti sanno come si fanno i bambini, ma nessuno sa come si fanno i papà" cantava in Papaoutai. Come s’è trovato a fare l’esperienza?

"La paternità ha cambiato pure il mio modo di scrivere canzoni. Ad esempio, parlo molto di cacca e pannolini. Per tre anni non ho fatto altro. E poi nella realizzazione dell’album mi sono dato degli orari, lavorando dalle 9 alle 17 per dedicarmi poi ai miei doveri di genitore. Diventare padre ha cambiato il mio punto di vista sul mondo. Prima pensavo che la creatività dovesse passare attraverso la sofferenza, mentre ora ho capito che può seguire anche altre strade".

Rappresenterebbe il Belgio all’Eurovision?

"Perché no? Magari non adesso, ho già tanti impegni in agenda. Ma sarebbe interessante. Divertente".

Il nuovo singolo?

"Esce oggi, Fils de joie, è la storia del figlio di una prostituta. Forse il prossimo album sarà più ottimista, più felice e gioioso".

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