
Il ’demone’ si è abbattuto su di lui in tenera età con la voce meccanica di una diagnosi fredda: "Dislessia, signori". Eppure, Francesco Riva, oggi trentenne e attore di teatro, è riuscito a trasformare quello che tecnicamente è un disturbo specifico dell’apprendimento, ma non una malattia, in un diamante che si chiama talento. E lo ha raccontato in un libro – ‘Il pesce che scese dall’albero. La mia storia di dislessico felice’ (Pickwick) – che è anche un viaggio appassionato nel mondo della scuola degli ultimi anni. Che è cambiato moltissimo, soprattutto a partire dal 2010, con l’entrata in vigore della legge 170, che ha garantito a chi soffre di disturbi specifici dell’apprendimento una serie di strumenti compensativi, ma, soprattutto, il diritto sacrosanto a una scuola più inclusiva. "Se la dislessia non si può curare – scrive Riva – il supporto di certi strumenti può aiutare (molto) a conviverci".
Lei però è andato ben oltre la convivenza....
"Sì. Anche se è stato difficile. Mi hanno aiutato i miei genitori, che sono stati amorevoli e comprensivi, e il teatro. Ma soprattutto: una grande forza di volontà. Mi piaceva studiare, volevo andare fino in fondo nonostante alcune difficoltà che l’essere dislessico mi procurava".
La sua storia è anche una fotografia della scuola dei nostri tempi. Che ambiente ha trovato?
"La scuola è un ambiente complesso. Ho trovato professori preparati e comprensivi, ma anche docenti chiusi mentalmente, soprattutto prima dell’entrata un vigore della legge 170. Nel libro racconto anche la grande umanità della mia maestra delle elementari: una grande professionista e, soprattutto, una persona eccezionale. Ha capito le mie difficoltà prima del tempo e mi ha accompagnato con affetto e dedizione, tirando fuori degli autentici colpi di genio che andavano al di là della didattica tradizionale".
Come è riuscito a trasformare un iniziale impedimento in un talento?
"Il miglior medico è stato il tempo. Mi è stata diagnosticata la dislessia a 8 anni, perciò ho avuto il tempo di metabolizzare la cosa e di avviare un percorso. Ma è stato fondamentale anche il teatro, un’autentica scuola di vita. A teatro ho potuto imparare in modo alternativo e adatto alle mie attitudini e capacità. L’ho fatto comunque anche a scuola: mi aiutavo associando un concetto a un’immagine o a una serie di mappe concettuali. Alla fine, il tempo mi ha dato ragione".
Alla dislessia sono ancora legati una serie di pregiudizi. Come sconfiggerli?
"La dislessia non è qualcosa che si vede, è legata a certe dinamiche, è in qualche modo non fuori ma dentro la persona. E però chi ne soffre non è svogliato, come talvolta purtroppo si pensa: ha solo bisogno degli strumenti giusti, di essere accompagnato. È, insomma, una persona come tutte le altre. Io sono riuscito a dimostrarlo".
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