Mercoledì 24 Aprile 2024

"Il mio Graziano Mesina in tv". Barbara Alberti e la serie sul bandito

La scrittrice firma il progetto con i fratelli Martinez. Dodici episodi sull'ex primula rossa che saranno girati tra la Sardegna e Milano

Graziano Mesina, 79 anni

Graziano Mesina, 79 anni

Eroe no: "Casomai eroi sono i pompieri". Per uno come lui può andare bene leggenda. Meglio ancora se impregnata dai sentori della chanson de geste. "E per favore che non passi per un’agiografia. Questa è la storia avventurosa di un uomo che ha amato la libertà ed è andato contro la legge. Una grande storia scandita da illuminazioni e cadute".

Barbara Alberti e il bandito. Il pellerossa, lo chiama. "Uno che ha avuto la fortuna di avere avuto un’infanzia ottocentesca, quando la parola valeva ancora qualcosa". Ha scritto con i fratelli Matteo e Giulia Magda Martinez una serie tv in dodici episodi sulla vita di Graziano Mesina. Si girerà nei prossimi mesi fra la Sardegna e Milano. I primi passi con le pecore, i crimini giovanili, la mediazione nel sequestro Kassam. Rapimenti, evasioni, latitanze. Poi l’apparente redenzione, la revoca della grazia, l’ultima fuga. La cronaca li ha sfidati, resta fuori il capitolo finale: Grazianeddu arrestato a Desulo con i suoi 79 anni ammaccati, 6mila euro sotto al letto e una spiegazione coerente: "Mi sono nascosto per non morire in galera".

Signora Alberti, gli hanno messo vicino una stufetta e una vecchia coperta. Un epilogo sconsolato.

"Ma no, perché? Sembra Jack London. È  lì con i suoi strumenti, disposto a vivere in quella maniera pur di non stare in prigione".

E lei cosa c’entra?

"C’entra questo amore per la libertà condiviso con i Martinez, i miei meravigliosi compagni di viaggi. Loro lo conoscevano da bambini e Matteo era stregato dai suoi occhi, da quei racconti rocamboleschi che sembravano già una sceneggiatura. Ventidue tentativi di evasione di cui dieci andati a segno sono un record mondiale. Siamo andati a scavare tirando fuori il racconto di una vita che ne vale cento, nel bene e nel male".

Il Robin Hood della Barbagia. Irresistibile senza avere il fisico. Ha subito anche lei la fascinazione romantica dell’esiliato?

"Le donne sono audaci, anticonformiste per natura. E non disdegnano l’avventura. Se una cerca il bandito è bandito a sua volta. Mi sta domandando se mi piace Mesina? Le rispondo che lo rispetto".

Lo ha conosciuto?

"Quindici anni fa. Ma avevo già conosciuto la Sardegna con le sue femministe vere incazzate nere, l’umorismo british, l’eleganza sommessa. C’era quest’uomo piccolo piccolo che sembrava uno yogi perfetto. Stava seduto dritto e concentrato, l’impressione era che avesse il controllo totale del corpo e dei sensi. Vista, olfatto, udito. L’intuito assoluto dell’animale affinato durante la pubertà da Rambo nel gran canyon del Supramonte con dieci gradi sottozero. Un piccolo pellerossa sardo che badava alle pecore potendo contare solo su una borraccia piena di neve e un acciarino".

La Barbagia: il nostro Far West. Con tutte le conseguenze.

"Il fondale di una storia bellissima che è anche la storia di una terra ignorata dallo Stato, dove l’antico costume è legge. Rovinata dai Savoia. Vittima di enormi ingiustizie e teatro delle più grandi manifestazioni di rivolta sociale degli ultimi anni a partire dal Sulcis. Ci vedo ancora la vita, la voglia corsara di non rassegnarsi alla morte degli ideali. Mesina impara a difendersi fin da piccolo. Rispetta il suo codice d’onore e uccide una volta sola per vendicare il fratello. Si vanta di non avere mai toccato un capello agli ostaggi. In Sicilia lo chiamano onore, la Sardegna preferisce la parola giustizia. Detto questo, non augurerei a mio nipote la sua carriera".

E a lui cosa augura?

"La grazia. Per avere fatto il male più bene che poteva. E non scriva 'meglio', deve esserci il bene di fronte al male. Le parole sono importanti". 

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